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Filippo Turetta, interrogatorio e faccia a faccia con i familiari di Giulia Cecchettin

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Nuovo interrogatorio di Filippo Turetta, stavolta davanti ai familiari di Giulia Cecchettin. Per la prima volta, a quasi un anno dall’omicidio che ha scosso l'Italia, il giovane incrocerà (salvo sorprese) lo sguardo di Gino, il padre della ventiduenne di Vigonovo (Padova) uccisa con 75 coltellate l’11 novembre scorso. Domani, nell’aula della corte d’Assise di Venezia, risponderà a tutte le domande. Nessuna bugia promette, ma una confessione piena - come quella resa subito dopo l’arresto davanti al pm Andrea Petroni - «anche per onorare la memoria di Giulia». Per la prima volta il giovane, scappato in Germania dopo l’omicidio, arrestato e poi trasferito nel carcere di Verona, mostrerà il suo volto.

 

Lo studente di Ingegneria biomedica ribadirà quanto accaduto: la serata trascorsa insieme in un centro commerciale a Marghera, poi il tentativo di convincere Giulia a tornare insieme e la rabbia che sale quando capisce di averla persa. Affonda il coltello per la prima volta nel parcheggio di Vigonovo, a 150 metri da casa Cecchettin, poi la finisce nella zona industriale di Fossò. «Mi ricordo che era rivolta all’insù, verso di me. Si proteggeva con le braccia dove la stavo colpendo. L’ultima coltellata che le ho dato era sull’occhio. Giulia era come se non ci fosse più. L’ho caricata sui sedili posteriori e siamo partiti. Avevo i vestiti abbastanza sporchi del suo sangue» ammette. Un viaggio che per la ventiduenne finisce vicino al lago di Barcis, in provincia di Pordenone, mentre Turetta riuscirà a raggiungere la Germania prima di arrendersi. «Cercavo notizie che mi facessero stare abbastanza male da avere il coraggio per suicidarmi, ma ho letto che i miei genitori speravano di trovarmi ancora vivo e ciò ha avuto l’effetto opposto. Mi sono rassegnato a non suicidarmi più e ad essere arrestato».

 

La procura gli contesta l’omicidio volontario aggravato da premeditazione, crudeltà e legame affettivo, e i reati di sequestro di persona, occultamento di cadavere e porto d’armi. Filippo Turetta spiava la vittima con un’applicazione sul suo cellulare e avrebbe studiato il femminicidio dall’inizio di novembre, quindi avrebbe comprato il nastro adesivo per impedirle di urlare, studiato come legarle mani e piedi, preparato vestiti, soldi e provviste per scappare, studiato mappe per nascondere il corpo e agevolare la fuga. Una premeditazione che il ventiduenne - capace di ricattare emotivamente la vittima - respinge, ma che poco cambia nel quadro di un delitto per il quale rischia l’ergastolo. 

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