Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Migranti, chi ci guadagna: il business dei compagni che non vogliono i rimpatri

Giuseppe China
  • a
  • a
  • a

A 48 ore dalla sentenza del Tribunale di Roma che ha momentaneamente ipotecato l’accordo italo-albanese sul trattenimento dei migranti nelle due strutture di Shengjin e Gjader, la questione migratoria infiamma il dibattito politico e non solo. Un tema in parte legato a leggi e convenzioni bilaterali, dato che accogliere, ospitare, trattenere e respingere gli stranieri costa svariati miliardi di euro. Circostanza messa in luce da un post pubblicato dal profilo di Fratelli d’Italia su X, in cui c’è un’immagine che compara «il costo dell’accoglienza» nei governi Gentiloni e Meloni: con il primo che nel 2018 ha speso 4,7 miliardi di euro e il secondo che ha impiegato 1,8 miliardi. Denaro che spesso ha fatto fiorire il business delle coop rosse, da sempre schierate in prima linea nel dogma dell’accoglienza a tutti i costi.

 

Basti pensare al caso della Karibu dei parenti del parlamentare (eletto con Avs e attualmente iscritto al gruppo misto) Aboubakar Soumahoro: moglie, suocera e cognato sono finiti alla sbarra a Latina perché accusati a vario titolo di frode in pubbliche forniture, bancarotta fraudolenta patrimoniale (per distrazione) e autoriciclcaggio. E ancora alla vicenda dell’ex sindaco Mimmo Lucano e il suo modello Riace (Reggio Calabria), finito sotto la lente dei magistrati: in primo grado condannato a 13 anni e due mesi di carcere, sentenza ribaltata in appello con l’assoluzione dalla maggior parte dei reati e in attesa della pronuncia della Cassazione, fissata per il prossimo 6 novembre, per un episodio di presunto falso. L’ultima condanna per Lucano arriva dala Corte dei Conti. Si tratta di un danno erariale da 780mila euro. Ancora più nota la vicenda giudiziaria di Salvatore Buzzi e della sua 29 giugno, coinvolti nell’inchiesta Mondo di mezzo che porta alla luce le dinamiche dietro alla gestione dei fondi statali destinati ai centri per l’accoglienza. 

Tra le coop rosse sparse lungo tutto il Paese non passano inosservate il Gus (gruppo umana solidarietà) con sede a Macerata, la fondazione San Giovanni Battista a Ragusa. A proposito di quest’ultima occorre segnalare che il responsabile del locale Cas (centro accoglienza straordinaria) Gaetano Scollo è consigliere comunale del Partito democratico a Comiso dal 2013. Poi ci sono realtà più grandi come il consorzio Matrix che ha sedi a Gragnano, Vasto, Gorizia e nel Beneventano. 

 

Le realtà che si occupano di gestione dei migranti sono centinaia, così come il numero di strutture per stranieri presenti nel Paese. Secondo gli ultimi dati del ministero dell’Interno, riferiti fino al 2023, gli immobili non residenziali complessivi sono 440, mentre quelli dotati di posti letto ammontano a 2.790. Essere proprietari del palazzo o dell’ex albergo in cui vengono ospitati i migranti è nella maggior parte dei casi la condizione che permette a una coop di fare il salto di qualità negli affari. Discorso in parte analogo per i dipendenti che in alcuni casi sono volontari. 

Ma quanto costa quotidianamente ai contribuenti un migrante? Circa 35 euro per ogni adulto e 45 per i minori. Denaro che viene elargito dalle Prefetture alle coop tramite gare di appalto. I servizi offerti sono spesso quelli essenziali: pulizia, vitto, lenzuola e vestiti. Al richiedente asilo spettano 2,50 euro al giorno, il resto serve a pagare strutture, operatori e costi indiretti. Servizi che in più di un caso sono scadenti e inadeguati. Sempre a carico dello Stato c’è anche il costo del rimpatrio di chi raggiunge l’Italia, in questo caso però le cooperative non sono coinvolte. Infine un atto che riguarda l’immigrazione legale, ma che è stato modificato di recente a causa di una serie di presunte irregolarità, denunciate dal premier Giorgia Meloni al procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo: il decreto flussi. Tanti stranieri avevano ottenuto il nulla osta per motivi di lavoro, pochi hanno effettivamente firmato un contratto. 

Dai blog