Migranti, chi è la giudice fan della Apostolico che un anno fa disse no ai centri in Albania
Le toghe rosse contro il governo per mandare all’aria la politica sui migranti. Non è un segreto il tentativo di boicottare l'accordo con l'Albania, ma è scritto nero su bianco, in un'intervista rilasciata il 10 dicembre scorso a Repubblica da Silvia Albano, il giudice della Sezione immigrazione del Tribunale di Roma che ieri ha emesso la contestata sentenza con la quale non ha convalidato il trattenimento dei dodici migranti trasferiti nel centro italiano di permanenza per il rimpatrio di Gjader. Non una giudice qualunque, ma l'emblema di quelle toghe in prima linea quando c'è da bastonare l'avversario politico.
Albano, infatti, è la presidente di Magistratura democratica, la corrente di sinistra dei togati, in fibrillazione davanti a un Esecutivo che tira dritto sulla riforma della giustizia, talmente odiata da quel sistema raccontato dell’ex presidente dell’Anm Luca Palamara, da essere bollata come una sorta di «attacco all'indipendenza della magistratura», portato avanti da un governo accusato di voler «snaturare il sistema democratico».
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Sono parole della presidente, che in più occasioni ha alzato le barricate contro le politiche migratorie di Giorgia Meloni e Matteo Salvini. La toga rossa numero uno ha infatti preso le difese della collega Iolanda Apostolico, la giudice di Catania che nel 2018 manifestava davanti alla nave Diciotti per i porti chiusi e che a ottobre scorso ha firmato una serie di provvedimenti di non convalida del trattenimento di alcuni clandestini nei centri per il rimpatrio, disapplicando così il Decreto migranti.
Per Albano, di fronte a una questione pregiudiziale tra norme italiane ed europee, Apostolico «in quanto giudice di merito, aveva la facoltà, anzi il dovere, di disapplicare la norma interna», ha detto al Manifesto.
Tra l'altro, aveva già avvisato il governo che sull'accordo con Tirana sarebbe stata guerra aperta. «Immagino che ci sarà una pioggia di ricorsi su cui dovremo pronunciarci. E se non ci sarà una legge di ratifica che definisca le deroghe al quadro normativo nazionale previste da questo protocollo non potremo che prenderne atto», aveva dichiarato a Repubblica la Albano, artefice della sentenza annunciata emessa ieri, sottolineando che, in ogni modo, «le variazioni di legge devono essere compatibili con le direttive europee» e che «l'extraterritorialità necessita di una legge, non si dichiara con un protocollo». La bocciatura di quei trattenimenti al centro di Gjader si basa appunto su una pronuncia della Corte di giustizia europea a seguito del rinvio pregiudiziale proposto da un giudice della Repubblica Ceca e viene motivata con il fatto che Bangladesh ed Egitto non sarebbero paesi sicuri. E qualora lo fossero, potrebbero non esserlo per quel singolo migrante.
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Caso per caso e porte aperte a tutti, con un tribunale che entra a gamba tesa in un progetto di governo che piace all'Europa, ordinando il rientro di quei clandestini «che hanno diritto ad essere condotti in Italia», ribadisce in una nota la presidente della Sezione immigrazione, Lucia Sangiovanni. La stessa Sangiovanni che bocciò la decisione del Garante della privacy di stoppare la messa in onda, sulla Rai, di alcuni documenti sensibili su Armando Siri, già sottosegretario della Lega. Sangiovanni era finita davanti al Csm, ma graziata, per le chat in cui Palamara si lamentava per la lentezza della pratica di separazione di un amico con la giudice, all'epoca impiegata in diritto di famiglia.
«La collega è un pochino in difficoltà... ne parliamo a voce... ho a mente la questione», rispondeva a Palamara. Lo stesso Palamara che, al procuratore capo di Viterbo Paolo Auriemma convinto che Salvini non stesse sbagliando nulla sui porti chiusi, scriveva: «Comunque bisogna attaccarlo».