Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

Roma, la deportazione dimenticata da tutti: gli ebrei ormai soli

Aldo Torchiaro
  • a
  • a
  • a

L’anniversario della deportazione di oltre mille ebrei romani cade in un clima di tensione mista a imbarazzante silenzio. Le celebrazioni di ricordo sono tutte interne alla Comunità ebraica romana. Tutte blindate. E tutte a partecipazione ridotta, altroché scolaresche e solidarietà diffusa. Quello è ormai solo un ricordo. Il 16 ottobre del 1943 è stato il sette ottobre degli ebrei romani. Era uno shabbat, una giornata di festa anche allora, come fu il sette ottobre in Israele. A Roma vennero i nazisti, in Israele era Hamas. All'alba di quel 16 ottobre 1943 le SS naziste, con la collaborazione dei fascisti, entrano nel ghetto ebraico di Roma arrestando e deportando oltre mille persone tra uomini, donne e bambini. L’anniversario non è esattamente privo di polemiche, né di timori. Perché, se gli anni scorsi le manifestazioni per il ricordo di quella ignominia – i cortei sul lungotevere, le fiaccolate in piazza, le assemblee nelle scuole – erano numerose e partecipate, a un anno dall’incalzare della più imponente campagna antisemita dopo la Shoah, la situazione è sensibilmente diversa.

 

 

Sono trascorsi venti giorni dalla manifestazione con cui i Propal hanno esposto sui cartelli, accusandoli di essere «agenti sionisti», i volti di Riccardo Pacifici, ex presidente degli ebrei romani, e della senatrice a vita Liliana Segre. E solo dieci giorni fa un’altra manifestazione filopalestinese non organizzata ha portato al ferimento di ventiquattro agenti di polizia, a Porta San Paolo. In questo clima, le celebrazioni si fanno ristrette. Ieri, una piccola cerimonia alla stazione Tiburtina. Non erano presenti autorità. Davanti alla Sinagoga il Rabbino capo, Riccardo Di Segni, il presidente della Comunità Ebraica romana, Victor Fadlun, il sindaco Roberto Gualtieri e per la Regione Lazio l’assessore all’inclusione sociale Maselli. Oggi, a concludere, tre deposizioni di corone: a largo 16 ottobre, a Palazzo Salviati e una al cimitero del Verano. Tutto a carico della Comunità ebraica romana. La politica è la grande assente. Le università non si mobilitano. Il mondo della cultura è distratto, gli intellettuali afoni. Certo, Rai Cultura metterà in onda su Rai Storia un documentario con Paolo Mieli, ma non proprio nelle ore di punta: alle 9 del mattino e alle 14,15. Insomma, qualcosa si fa, perché si deve. Ma il minimo sindacale, e par di capire, controvoglia.

 

 

«Questo di oggi è un 16 ottobre terribilmente amaro per gli ebrei romani e italiani», dice Fiamma Nirenstein. «Il sette ottobre in Israele è stato il 16 ottobre per Roma. Hamas voleva dare la caccia agli ebrei. Farne pulizia etnica. L’incontro micidiale che c’è stato tra l’ideologia woke e la grande presenza islamica che c’è in Italia e in Europa crea un cocktail esplosivo e mortale». Anche il presidente della Comunità ebraica romana, Victor Fadlun, avverte: «Quel 16 ottobre non arrivò all’improvviso. Era stato preceduto da anni di martellante campagna antiebraica». Il Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni: «Quello che è successo in quegli anni - ha detto - è un ammonimento per tanti aspetti in particolare anche pensando a una nazione pacifica e piena di umanità come l'Italia», come una nazione possa «trasformarsi in una macchina di odio e di morte».

Dai blog