Dossieraggio, la lettera dello spione di Bitonto: “Agito solo per curiosità, sono pentito”
«Per quanto riguarda gli inquiry relativi a personaggi pubblici» e «relativi ai colleghi», «posso affermare con certezza di avere agito solo per motivi di curiosità e non aver trasferito a nessuno le informazioni da me visionate, delle quali peraltro, considerato anche il notevole lasso di tempo trascorso, posso affermare con assoluta certezza di non avere alcun ricordo» e «di non aver trasferito in qualsiasi modalità nessun dato». È quanto scriveva il 52enne Vincenzo Coviello in una lettera per una richiesta di aspettativa non retribuita consegnata al Gruppo Intesa Sanpaolo, prima del licenziamento, a fine luglio. L’uomo, originario di Bitonto, è indagato per accesso abusivo ai sistemi informatici e tentato procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato, con la notizia emersa negli stessi giorni in cui non si spegne il caso dossieraggio legato all'inchiesta a Perugia su Striano & co.
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Coviello chiedeva una aspettativa non retribuita per completare un percorso di supporto psicologico per guarire dalla sua «curiosità/compulsività», tanto da assumersi le «responsabilità per eventuali danni patrimoniali e reputazionali che la Banca fosse chiamata a risarcire a causa dei fatti posti alla base del procedimento disciplinare». E aggiungeva: «Sono pentito di quello che è successo e chiedo scusa alla Banca, ai colleghi tutti, ai clienti, consapevole di aver sbagliato ma allo stesso tempo certo che quei dati da me visionati, non solo non sono stati trasferiti a terzi ma che ovviamente non sono nella maniera più assoluta tra i miei ricordi».
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«Non nego che è stato molto difficile tenere a freno questa mia curiosità/compulsività» scrive ancora Coviello. «Dopo essere stato interpellato dal direttore della filiale» per alcuni nominativi oggetto di controllo, «conscio degli errori commessi», Coviello avrebbe provveduto «ad effettuare gli inquiry di nominativi strettamente necessari alle attività afferenti il proprio ruolo». Il «richiamo alla realtà» da parte del direttore della filiale sarebbe servito a Coviello a intraprendere il confronto con un medico specialista «grazie al quale ho cominciato a lavorare su me stesso», al fine di tenere «a freno questa mia compulsività» nell’effettuare nell’arco della giornata lavorativa, seppure per pochi minuti, queste attività di inquiry non sempre legate all’attività lavorativa specifica». Successivamente sarebbe stato suggerito a Coviello, «per una ripresa ottimale della attività lavorativa», di richiedere un’aspettativa di 60 giorni per completare un percorso di conoscenza sul suo «modo di essere, affinché ciò che è successo non accada mai più», e di poter rientrare a lavoro «magari anche con un cambio di mansione». Ad agosto, invece, ne è stato formalizzato il licenziamento.