sistema apostolico

Migranti, così i giudici "rossi" hanno liberato oltre 100 clandestini

Dario Martini

 Governo e Parlamento fanno le leggi per assicurare che i migranti non aventi diritto all’asilo vengano rimpatriati. Poi, però, ci sono i giudici che li fanno uscire dai Cpr, sapendo bene che una volta liberi faranno perdere le loro tracce. Non si tratta di fatti isolati, ma di una routine consolidata. Basti pensare che da metà marzo ad oggi, solo in Sicilia, non sono state convalidate 108 richieste di trattenimento avanzate dai questori. Mentre sono solo 21 quelle convalidate. Significa che su 129 casi totali, l’84% delle volte c’è stato un provvedimento di rigetto.

Per capire di costa stiamo parlando bisogna riavvolgere il nastro di qualche mese. Inizialmente, i migranti che avevano un bisogno di un tempo più lungo per l’esame della richiesta d’asilo venivano portati nel Cpr di Pozzallo, in provincia di Ragusa. Per ben 25 volte, nel 100% dei casi, i giudici competenti del tribunale di Catania hanno respinto le richieste di trattenimento avanzate dal questore di Ragusa. Allora, forse anche per correre ai ripari, dopo Ferragosto è stato aperto anche il centro per i rimpatri di Porto Empedocle, in provincia di Agrigento. In questo caso il tribunale competente è un altro, quello di Palermo. Ma la musica non è cambiata. In neanche due mesi, i magistrati del capoluogo di regione hanno respinto 83 richieste di fermo, convalidandone solo 21.

 

Qualcuno si domanderà come sia possibile. Semplice, fatta la legge si trova il cavillo. In precedenza, le motivazioni del rigetto erano sempre le stesse: lacune nella formulazione delle richieste da parte del Fermi Sono le richieste di trattenimento riconosciute dai giudici di Palermo questore. Tradotto: non sarebbe stato motivato a sufficienza il pericolo di fuga. Allora i questori sono corsi al riparo, e hanno iniziato a scrivere le richieste in modo ancora più scrupoloso. Al tribunale di Palermo, però, non si sono arresi. E hanno trovato un altro sistema per respingerle. L’assist è arrivato dall’Europa. Pochi giorni fa, il 4 ottobre, come scrive "Libero", la Corte di giustizia della Ue ha stabilito che un Paese non può essere designato come sicuro «qualora talune parti del suo territorio non soddisfino le condizioni sostanziali», ovvero la possibilità di dimostrare che lì, «in modo generale e uniforme, non si ricorre mai alla persecuzione quale definita all’articolo 9 della direttiva 2011/95», nonché alla tortura o ad altri trattamenti inumani. Tutto ciò per sostenere, sempre in base all’interpretazione europea, che la Tunisia non è un Paese sicuro. A differenza di quanto stabilisce il governo italiano. La Tunisia, infatti, figura nella lista dei Paesi sicuri stilata per decreto dai ministeri degli Esteri, della Giustizia e dell’Interno.

 

Far parte di questo elenco significa che i cittadini di questi Paesi possono essere rispediti a casa se risultano essere irregolarmente presenti sul territorio italiano. Ecco allora che quattro giorni fa, l’8 ottobre, la sezione immigrazione del tribunale di Palermo ha fatto esplicitamente riferimento alla sentenza della Corte Ue per emettere cinque decreti di rigetto dei provvedimenti di trattenimento a Porto Empedocle per quattro immigrati tunisini. Attenzione. Le ricadute possono riguardare anche i centri che hanno appena aperto in Albania, dove saranno portati proprio i migranti diretti in Italia. Dal momento che anche lì si applicherà il diritto italiano, e saranno giudici italiani ad esprimersi, sarà difficile, se non impossibile, rimpatriare coloro che provengono dalla Tunisia. A meno che non vengano accolti i ricorsi del ministero dell’Interno.

Il tempo passa, ma sembra non cambiare nulla. Ci troviamo ancora di fronte al modus operandi inaugurato un anno fa dalla giudice Iolanda Apostolico, assurta agli onori delle cronache per aver fatto rilasciare diversi migranti dal Cpr di Pozzallo, ma anche per aver preso parte ad una manifestazione di protesta contro Matteo Salvini quando era ministro dell’Interno ai tempi del caso della nave Diciotti.