Eni-Nigeria

Caso Eni-Nigeria, condannati i pm De Pasquale e Spadaro. “Hanno nascosto delle prove”

Il tribunale di Brescia ha condannato i pubblici ministeri di Milano, Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro a 8 mesi di reclusione per rifiuto d'atti d'ufficio per aver nascosto prove favorevoli alle difese dell'Eni nel processo per corruzione internazionale sulla maxi tangente nigeriana da un miliardo di dollari, finito con l'assoluzione di tutti i vertici Eni imputati. La sentenza è stata è letta nell'aula della prima sezione penale di Brescia dal collegio presieduto dal giudice Roberto Spanò e le colleghe Wilma Pagano e Paola Giordano. Accolta la richiesta dei pm Francesco Milanesi, Donato Greco e il procuratore Francesco Prete.

Il tribunale ha ritenuto i magistrati colpevoli e li ha condannati anche al pagamento delle spese processuali e a risarcire in solido con la Presidenza del Consiglio la parte civile, l'ex console onorario in Nigeria, Gianfranco Falcioni, assistito dall'avvocato Pasquale Annicchiarico, con danno da liquidarsi in un separato giudizio civile. Concesse le attenuanti generiche e la sospensione condizionale della pena con non menzione della condanna nel casellario penale. I giudici hanno fissato in 45 giorni il termine per il deposito delle motivazioni. I fatti contestati nel processo si sono verificati fra gennaio e marzo 2021. In particolare i pm De Pasquale, 67 anni ed ex procuratore aggiunto a capo del pool reati internazionali della Procura di Milano, e Spadaro, 48 anni oggi sostituto alla Procura europea Eppo, rispondono di 6 episodi di omissione d'atti d'ufficio per non aver depositato alle difese Eni gli elementi raccolti dal pm Paolo Storari durante l'inchiesta parallela 'Falso complotto Eni' (processo oggi in corso) su un presunto maxi depistaggio ai danni dei magistrati che accusavano il colosso dell'energia, con al centro la figura dell'ex legale esterno della società, 'l'avvocato dei misteri', Piero Amara. Si tratta di tre documenti di 88 pagine, denominati 'falsità Armanna' 'dal nome di Vincenzo Armanna, ex manager Eni, grande accusatore della società petrolifera sulla 'stecca' da un miliardo per aggiudicarsi il giacimento Opl 245. Tra gli elementi raccolti da Storari ci sono i messaggi whatsapp del 14 e 17 dicembre 2019, estratti in copia forense dal telefono di Armanna nel novembre 2020, da cui emergerebbe come avrebbe pagato 50mila dollari a due testimoni del processo Eni Nigeria, Tmy Aya e Isaac Eke, in particolare a uno di loro confermare in aula di essere l'uomo che gli si era presentato in Nigeria come 'Viktor Nawfor' e di aver visto "gli italiani" imbarcare "trolley pieni di denaro", come prezzo della corruzione retrocesso a Eni.

La chat telegram del 14 dicembre 2019 fra Armanna e Aya contenuta nell'informativa della guardia di finanza del 19 febbraio 2021 che, a differenza della copia cartacea depositata dall'ex manager, mostrava gli "orari di invio dei messaggi" incompatibili e che avrebbero dimostrato la "contraffazione" delle chat. In particolare Armanna avrebbe tagliato la frase "But then i need my money back". I messaggi whatsapp fra Armanna e Matthew Tonlaga, amministratore della società nigeriana Fenog fornitrice di Eni, tra l'11 e il 12 settembre 2019 in cui gli avrebbe suggerito cosa rispondere alla vigilia dell'interrogatorio di quest'ultimo reso con rogatoria internazionale alla pm Laura Pedio. "Queste sono cosa penso che ti chiederanno" scrive Armanna. "Claudio Granata (capo del personale in Eni all'epoca, ndr) era la reale interfaccia di Amara, tutti devono comprendere questo", "è' importante che tu spieghi agli italiani che Eni ha cercato di fare pressione su di me, forte pressione e tu non ha mai accettato e per questa ragione hanno cancellato il contratto". Le note di Vodafone del 3 e 14 dicembre 2020 raccolte da Storari che avrebbero dimostrato come le chat fra Armanna con l'ad Eni, Claudio Descalzi, e Granata in cui i vertici del 'cane a sei zampe' si dicevano pronti a riassumerlo dopo il licenziamento in cambio della ritrattazione delle accuse di corruzione, fossero in realtà false perché nel 2013 quelle utenze non erano in uso a manager Eni. Infine il video di un incontro avvenuto il 28 luglio 2014 che riprende 4 persone, fra cui Armanna e Amara, acquisito dalla Procura di Milano dal 12 aprile 2017 nell'ambito di scambi informativi con le polizie giudiziarie di Torino e Roma. Con riferimento a Eni Armanna parla della "valanga di mer*a che io faccio arrivare in questo momento". Due giorni dopo si presenta al pm De Pasquale e accusa i vertici del Gruppo.