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Roma, la guerriglia dei ProPal. In piazza anarchici, estrema sinistra e sindacati

Giuseppe China

Il fermento dei circa 6.000 manifestanti pro Palestina si è prolungato per più di tre ore e mezzo. Dopo un giro intero di piazzale Ostiense, luogo in cui si erano dati appuntamento alle 14, è esploso contro le forze dell’ordine. Bombe carta, bottiglie di vetro, petardi, segnali stradali e aste lanciate dai black bloc verso alcune camionette delle forze dell’ordine e parte degli agenti in assetto antisommossa che presidiavano via Ostiense. Una pioggia di oggetti alla quale la polizia ha risposto prima con l’utilizzo degli idranti e poi caricando a colpi di manganello. Il caos nel centro della Capitale, a cui ha assistito come «testimone» impassibile la Piramide di Caio Cestio e che è costato il ferimento di una ragazza e di una trentina di uomini delle forze dell’ordine, è durato per almeno mezz’ora. Ma andiamo con ordine.

 

Al momento del ritrovo i manifestanti sono sparsi in diversi punti del luogo prescelto per l’evento. Piove e alcuni cercano riparo all’ingresso della stazione del metrò Piramide, altri pochi passi più in là sostano sotto la tettoia della Roma Lido, coloro che sono arrivati con il quarto d’ora accademico di ritardo sono radunati sotto un folto albero. Il nucleo degli oltranzisti, invece, sono al centro della piazza sotto l’acqua. Cantano: «Palestina libera», «From the river to the sea Palestine will be free (la Palestina sarà libera dal fiume al mare)». Qui campeggiano anche gli striscioni. Nel primo si legge in arabo, inglese e italiano: «Fermiamo il genocidio, Palestina libera!», nel secondo c’è scritto: «Palestina e Libano unite: fermiamo il genocidio con la resistenza».

 

Pure chi giunge in seguito srotola e sfoggia il suo striscione esclusivamente tra questa decina di metri quadrati. Il colore più indossato dagli attivisti è il nero. Non possono passare inosservati quelli che hanno optato per il "total black", un alto numero considerevole di persone lo spezza con la kefiah. Tanti, approfittando della pioggia, si coprono interamente grazie ai passamontagna, cappelli, mascherine, occhiali da sole, caschi e bandiere della Palestina. I vessilli sono centinaia e tra questi è presente quello di Hezbollah: il giallo che fa da sfondo a una serie di figure verdi e dove al centro campeggia un braccio che impugna il fucile d’assalto Ak-47, più noto come Kalasnikov.

La gente pian piano riempie la piazza, tra loro c’è pure chi sembra essere arrivato per sbaglio: una coppia di turisti sgrana gli occhi e accelera l’andatura.  Piazzale Ostiense è blindata da uno spiegamento massiccio di forze dell’ordine: in ogni incrocio, (via Marmorata, via della Piramide Cestia, viale Giotto, viale Marco Polo, via Ostiense e viale del Capo Boario) ci sono una serie di camionette, agenti in assetto anti sommossa e barriere in ferro. 

«Quella di oggi per noi non è un giornata di celebrazione, ma di lotta» esordisce il primo attivista a prendere il megafono. A più riprese definiscono il conflitto in Medio Oriente come «l’ennesima guerra della Nato che serve a tutelare i valori occidentali. Quali principi? Lo sterminio e il genocidio. La causa palestinese è la causa di tutti gli sfruttati del mondo».

 

Toni e contenuti che in parte riportano le lancette della storia agli anni Settanta, però non sorprende vista la folta presenza di bandiere rosse con falce e martello. Giovani comunisti, Unione democratica arabo palestinese, Si Cobas e Partito marxista-lenista italiano sono solo alcune delle sigle che hanno aderito all’evento. Sfilano anche alcuni volti più o meno noti della politica italiana, come Marta Collot e Giorgio Cremaschi. Al megafono qualcuno sferza il centrosinistra: «Quelli che si dicono opposizione del governo Meloni dovrebbero dirsi collaborazionisti». A chi vuole esprimere il proprio pensiero non viene lasciato tanto spazio, la folla con i suoi cori copre quasi tutti gli interventi. «Corteo, corteo» è il più scandito.

Che la giornata sia nervosa lo si evince anche dal fatto che molti presenti non vogliono essere fotografati. Iniziano le trattative tra promotori e uomini della Digos. L’allontanamento da piazzale Ostiense è pura fantasia, l’accordo viene trovato: un giro a trecentosessanta gradi. In testa alle migliaia di presenti si mettono i black bloc. La tensione sale sempre più, i commercianti abbassano le saracinesche dei negozi e chi osservava dalla propria finestra la chiude. Gli oltranzisti prendono il sopravvento e scatenano la «battaglia» a due giorni dal primo anniversario del 7 ottobre.