corvi e inchiesta spioni

Vaticano e dossier, l'ultima cena per incastrare Becciu: registrato sua insaputa

Rita Cavallaro

In Vaticano già ripetono che è stata una sorta di ultima cena. È la cena del complotto, quella che tra le segrete stanze, dopo le ultime rivelazioni dell’inchiesta sui dossier che definiscono la posizione del cardinale Angelo Becciu, sta sulla bocca di molto alti prelati. È con la trappola dello scarpone, dal nome del ristorante romano in cui Becciu è stato invitato da monsignor Alberto Perlasca, che si compie il complotto contro il cardinale, da servire su un piatto d’argento carico di bugie a Papa Francesco. Ai primi di settembre 2020, monsignor Perlasca era indagato nell’inchiesta vaticana sulla compravendita del palazzo di Londra, lo scandalo passato dalle intrusioni illegali degli spioni alla prima pagina de L’Espresso e sfociato infine nel processo del secolo, che ha condannato il cardinale Becciu insieme ai protagonisti della compravendita.

 

Tutti tranne Perlasca, che nel corso di quell’affare era a capo dell’ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, retta all’epoca da Becciu. Ormai da mesi, gli investigatori del Papa stavano effettuando gli accertamenti sull’affare di Londra e sulla gestione dei fondi dell’Obolo di San Pietro da parte del cardinale. Contro Becciu nessuna prova schiacciante e neppure i due interrogatori di Perlasca, in cui gli inquirenti cercavano di inchiodare il cardinale, si erano conclusi favorevolmente per i magistrati. Il monsignore, infatti fino al maggio precedente aveva sostenuto a spada tratta Becciu, difendendo in toto la compravendita del palazzo del finanziere Raffaele Mincione.

Alla fine di agosto, però, la situazione cambia. Perlasca prima consegna una memoria piena di accuse senza fondamento nei confronti del suo superiore e, alla fine, diventa il principale accusatore di Becciu. Accerchiato dai corvi e da spie, il monsignore probabilmente cede alle pressioni. E il 5 settembre 2020 invita Becciu a cena al ristorante Lo Scarpone, al Gianicolo, con la scusa di ringraziarlo dell’amicizia e del tentativo di far reintegrare Perlasca nel suo ruolo, dal quale era stato rimosso subito dopo la formulazione delle accuse. Fino a quel momento Becciu era ancora un fedelissimo di Papa Francesco e godeva della fiducia del Pontefice. Il cardinale non lo sa, ma tutto quello che i due si dicono in quella cena viene registrato. Becciu, durante la conversazione parla con l’amico della perquisizione autorizzata dal Papa alla segreteria pontificia, e potrebbe non aver condiviso la scelta sulla base dell’idea della separazione tra Stato e Chiesa.

 

Un’opinione politica buttata lì in un momento conviviale con un amico, che invece verrà fatta ascoltare a Bergoglio, insieme alle altre due bugie che il gruppo di corvi aveva spiattellato al Santo Padre per far passare Becciu come un ladro, ovvero un controllo mai esistito della Finanza sulla sottrazione di 100mila euro mai sottratti al Vaticano dal fratello di Becciu. Un piano che dà i suoi frutti il 24 settembre 2020, quando Bergoglio chiama il suo fedelissimo e, tenendo in mano una copia in anteprima de L’Espresso in edicola tre giorni dopo, gli sbatte in faccia le accuse di peculato che porteranno alla condanna, nonostante ogni bugia sia caduta nel processo. Perlasca invece viene archiviato e reintegrato. Per gli inquirenti non avrebbe capito cosa aveva firmato nella compravendita.