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Filippo Turetta, il processo. La strategia dei legali e gli scenari: "Spiraglio stretto"

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Sono gli stessi giudici a definire un processo «di interesse sociale particolarmente rilevante» quello che si apre domani a Filippo Turetta per l’omicidio di Giulia Cecchettin nell’ordinanza con cui viene disciplinato e limitato, per la ristretta capienza, l’ingresso in aula dei media e dei cittadini alla Corte d’Assise di Venezia. Nessun femminicidio ha mai creato così tanto rumore nelle piazze, nelle università e nella politica facendo entrare in tutte le case il viso pulito e pieno di speranze della studentessa di ingegneria biomedica che sognava anche di far risplendere la passione per i fumetti iscrivendosi a una scuola dove affinare il suo talento. Non ci sarà il ragazzo che si è dichiarato colpevole di averla uccisa con 75 coltellate la sera dell’11 novembre del 2023 a Vigonovo. I sui avvocati Giovanni Caruso e Monica Cornaviera hanno scelto sin da subito di sottrarsi al faro mediatico e di scegliere una strategia finalizzata ad arrivare in tempi fulminei a una sentenza. Niente udienza preliminare e nessuna richiesta di perizia psichiatrica, un approfondimento che, in linea teorica ma è molto improbabile, potrebbe essere comunque sollecitato dai giudici o dalla Procura.

 

 

 

La decisione di accelerare i tempi viene motivata dal legale col «percorso di maturazione personale del gravissimo delitto commesso e con la volontà che la giustizia faccia il suo corso nei tempi più rapidi possibili e nell’interesse di tutti». La scomparsa della ragazza venne denunciata da papà Gino e dalla sorella Elena il 12 novembre perché non era tornata a casa dopo essere uscita con l’ex fidanzato e compagno di studi. Sei giorni dopo, il corpo viene trovato in una scarpata vicino al lago di Barcis, in provincia di Pordenone, a cento chilometri dalla zona industriale di Fossò dove è stata uccisa. Il cadavere è nascosto da alcuni sacchi, accanto ha uno zaino e un libro di fumetti, ultimo regalo di Turetta. Poche ore dopo il giovane viene fermato, in una sosta della sua fuga in auto, vicino a Lipsia, in Germania. Ammette subito di averla uccisa, una confessione che poi metterà a verbale con molti dettagli nel carcere di Verona. Ricostruisce l’aggressione in due fasi, prima in un parcheggio a pochi metri da casa dei Cecchettin, poi a Fossò.  

 

 

 

«Abbiamo iniziato a discutere. Mi ha detto che ero troppo dipendente, troppo appiccicoso con lei» spiega al pm di Venezia Andrea Petroni. «Ho urlato che non era giusto, che avevo bisogno di lei, che mi sarei suicidato. Lei ha risposto decisa che non sarebbe tornata con me». Alle 23 e 40 le telecamere inquadrano il tentativo di fuga di lei. Il ragazzo la colpisce col coltello e la carica Giulia in auto. Le accuse sono di omicidio volontario aggravato da premeditazione, crudeltà, legame affettivo passato e stalking, oltre che di occultamento di cadavere, porto d’armi e sequestro di persona. La difesa ha mantenuto un basso profilo anche nella richiesta dei testimoni citando solo il medico legale e per il resto attenendosi alla trentina chiesti dal pm Andrea Petroni tra carabinieri, amici e familiari. L’unica chance di evitare l’ergastolo sembra essere legata al mancato riconoscimento della premeditazione ma è uno spiraglio molto stretto perché Turetta aveva coltelli, scotch per zittirla e sacchi per nasconderla. Le parti civili saranno papà Gino e la sorella Elena che nel rimando popolare del delitto hanno avuto un ruolo importante. 

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