Migranti, l'Europa chiude i confini e in Italia processano Salvini
Fermarsi, riflettere e poter dire, con cognizione ed un pizzico di orgoglio «avevamo ragione noi» è un passaggio che, in politica, non ha davvero prezzo. Per anni la destra italiana, con Silvio Berlusconi prima, con Matteo Salvini e Giorgia Meloni successivamente, ha affermato, ribadito e sottolineato come i confini italiani corrispondessero a quelli europei. E come non fosse pensabile trasferire, in massa, l'intero continente africano in un unico Paese. Che l'immigrazione senza un controllo si sarebbe ben presto trasformata in una sorta di sostituzione etnica (un passaggio che mandava su tutte le furie la rive gauche della politica italiana) e avrebbe portato ad un aumento di povertà e delinquenza. Senza dimenticare che il presunto dovere morale di solidarietà, sbandierato ai quattro venti dalla sinistra, si sarebbe ben presto trasformato in un colossale boomerang. Nel più classico degli scivoloni dettati dall'ipocrisia. Sono passati anni, ma alla fine persino la «locomotiva d'Europa» ha compreso come servano regole ben più ferree per contenere il fenomeno migratorio. E così, stretto al muro dall'avanzata imperiosa di Afd e da una crisi economica che, persino a Berlino, sembra essere tutt'altroche passeggera, il cancelliere Olaf Scholz ha deciso di correre ai ripari. La Germania ha infatti notificato alla Commissione Europea la sua intenzione di introdurre controlli alle frontiere «sulla base dell'articolo 25a del Codice di Schengen sulle minacce prevedibili».
Una norma secondo la quale «qualora vi sia una grave minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza interna di uno Stato membro, quest'ultimo può eccezionalmente ripristinare il controllo di frontiera su tutte le frontiere interne o su parti specifiche di esse per un periodo limitato fino a 30 giorni o per la durata prevedibile della grave minaccia, se questa supera i 30 giorni». Una vera e propria sospensione del trattato di Schengen e della libera circolazione dei cittadini europei. Ovvero l'architrave stesso dell'Unione Europea. Il vero e non nascosto obiettivo dell'esecutivo teutonico è, come ha ribadito il ministro degli Interni, Nancy Faeser, «aumentare i respingimenti». Una presa di coscienza giunta dopo l'attentato di Solingen. «Chi riceve la nostra protezione non deve abusarne, altrimenti dovrà lasciare nuovamente il nostro Paese. Garantiamo una maggiore protezione contro il terrorismo islamico, deportazioni più rigorose dei criminali violenti, divieti di utilizzo dei coltelli e riconoscimento facciale dei criminali».
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Parole che, per la sinistra italiana, sono autentiche bestemmie. Ma anche l'Olanda è orientata verso una politica assai più rigida sul controllo delle frontiere. Il governo guidato da Dick Schoof ha intenzione di chiedere espressamente di uscire dal cosiddetto «patto per la migrazione», diventato già legge dell'Unione. Una richiesta del tutto analoga a quella dell'Ungheria di Viktor Orbán. Amsterdam vuole seguire l'esempio di Berlino e, a sua volta, sospendere Schengen e ripristinare i controlli a tutte le frontiere di terra. Il vento no border, immigrazionista e dell'avanti tutti, tanto c'è posto, pare essersi (finalmente) affievolito. Un concetto che non è stato ben compreso (ed accettato) da una parte della magistratura italiana. Ieri i pm di Palermo hanno chiesto sei anni di reclusione per Matteo Salvini. Reo, secondo i togati, di aver perpetrato un «sequestro di persona». Quando in realtà, nelle vesti di ministro degli Interni, ha semplicemente difeso i confini italiani. E quelli europei.