il delitto

Yara, l'ultima strategia di Bossetti: "Prelevate il dna al killer di Verzeni"

Rita Cavallaro

Quei delitti irrisolti della Bergamasca e i dna rimasti ignoti sul corpo di Yara Gambirasio. L’arresto di Moussa Sangare, l’aspirante rapper reo confesso dell’omicidio di Sharon Verzeni, apre uno spiraglio per Massimo Bossetti, il muratore di Mapello condannato all’ergastolo per il delitto di Yara, la 13enne svanita nel nulla a Brembate di Sopra il 26 novembre 2010 e ritrovata cadavere in un campo di Chignolo d’Isola il 26 febbraio 2011. Per il suo assassinio, nel 2014, fu arrestato Bossetti, il cui profilo genetico era compatibile con le tracce di dna trovate sulla ragazzina. L’arresto fu il culmine di un’analisi genetica senza precedenti, partita dal campione sconosciuto denominato Ignoto 1 e, tramite il prelievo del dna a migliaia di cittadini della zona, arrivata al muratore attraverso la ricostruzione del ramo genealogico paterno. Bossetti si è sempre proclamato innocente, adducendo la sua individuazione a una presunta manomissione dei campioni biologici.

 

 

 

E ora, alla luce del delitto Verzeni e di altri omicidi irrisolti nella stessa zona, la difesa, che da tempo punta alla revisione del processo, pone l’accento sui dna rimasti ignoti, chiedendo che quei profili vengano comparati con quello di Moussa Sangare, un soggetto pericoloso, che aveva già puntato un pugnale contro la sorella e che, la sera del delitto di Sharon, il 30 luglio scorso, aveva minacciato due ragazzi con l’arma usata per sferrare quattro fendenti sulla 33enne a passeggio per Terno d’Isola. «Sarebbe interessante comparare le tracce di dna ignote sugli slip e sui leggings di Yara con il profilo genetico dell'assassino di Sharon», spiega l'avvocato Claudio Salvagni, legale di Bossetti. «All'epoca Sangare era poco più che adolescente e credo che gli inquirenti dovrebbero procedere a una comparazione per cercare la verità su quelle strade rimaste inesplorate». Salvagni precisa che «ci sono anche 9 formazioni pilifere ignote, di cui due riconducibili alla stessa persona. E poi c’è il dna sottotraccia, con il mitocondriale, che non appartiene né a Yara né a Bossetti».

 

Insomma, per la difesa quella comparazione sarebbe auspicabile per fugare i numerosi dubbi che si sono addensati sul caso, soprattutto dopo la serie tv di Netflix, che ha portato a galla una serie di criticità nell’inchiesta. D’altronde, il muratore non ha potuto accedere a una perizia di parte sull’unica prova inattaccabile di tutta l’indagine. Ai tempi, sui campioni biologici fu effettuato l’accertamento tecnico irripetibile, quando ancora gli inquirenti non avevano il nome di Bossetti ma solo il profilo di Ignoto 1. L'analisi portò a una corrispondenza parziale con un tampone salivare di Damiano Guerinoni, un giovane che frequentava una discoteca vicina al campo dove fu rinvenuto il cadavere di Yara. Non era lui l'assassino, ma un suo parente, del ramo paterno. Fu riesumato il corpo di Giuseppe Guerinoni e gli investigatori accertarono che era il padre dell'assassino. A quel punto vennero individuate le amanti dell'uomo e, quando fu esaminato il campione di Ester Arzuffi si arrivò alla svolta.

 

 

La donna era la madre del killer: Bossetti era Ignoto 1. Nessun dubbio, finché è emerso che la pm Letizia Ruggeri avrebbe distrutto 54 campioni biologici, spostandoli in un ufficio Reperti privo di frigoriferi. Campioni che avrebbero potuto confermare o smentire la genuinità del dna, frutto del contendere tra accusa e difesa. Ormai quei reperti non ci sono più, ma gli altri profili rimasti ignoti sono disponibili. «Chiediamo di cercare la verità. Perché se dalla comparazione dovesse risultare che quel dna sottotraccia fosse di Sangare, sarebbe un elemento in grado di rivoluzionare il caso e dimostrare l'innocenza di Bossetti», conclude Salvagni.