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Altro che segrete, le stanze del potere sono vulnerabili

Roberto Arditti
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Dai su. Può la delusione per un contratto di consulenza a titolo gratuito annunciato e poi ritirato scatenare un putiferio di queste dimensioni? Può essere considerato normale vedere in circolazione immagini girate con moderne tecnologie nelle più diverse sedi istituzionali, non senza alludere alla disponibilità di altre foto o video pronti all’uso?

Può esserci la garanzia da parte delle autorità di sicurezza nazionale che in tutta questa vicenda non sono presenti materiali in grado di rappresentare un pericolo per le istituzioni? A chi vogliamo raccontare che si può decidere di fronteggiare un intero governo per una mancata nomina di modesto rilievo, sapendo che tutto ciò non può che tradursi in un effetto “terra bruciata“ verso chi viola la regola del silenzio?

Qui non si tratta di fare il processo alla dottoressa Boccia, i cui comportamenti sono sotto gli occhi di tutti e quindi possono essere giudicati secondo le più diverse opinioni.
Qui si tratta di comprendere che la posta in gioco è assai più vasta, poiché riguarda la capacità di un Governo, di un Parlamento, di un sistema istituzionale, di essere autonomi nelle decisioni e, quindi, liberi da ogni condizionamento.

La vicenda insomma va molto oltre le scelte compiute dal ministro Sangiuliano sia nella sfera della sua vita privata che nella sua attività di membro del governo.
Su quelle vedremo nei prossimi giorni se vi saranno conseguenze, in particolare a livello politico.

Ciò che importa qui evidenziare è che in questa nostra Europa le classi dirigenti ignorano il livello di attenzione cui sono sottoposte le loro vite, ignorano l’impressionante grado di efficienza raggiunto da strumenti di analisi dei dati, ignorano le reali dimensioni di guerre ibride che sono in corso ad ogni livello nel mondo e che, in particolare, sfidano i sistemi democratici con le loro nobili ma fragili regole di libertà e trasparenza. Prendiamo l’esempio più banale, quello delle fotografie pubblicate sui social network. Esse sono uno strumento efficace di attività politica, non c’è dubbio. Al tempo stesso sono un poderoso mezzo di promozione personale spesso giocato mostrandosi a fianco del potente di turno.

Ma quelle immagini sono anche molto altro, poiché contengono informazioni preziosissime su abitudini, frequentazioni, oggetti, luoghi che riempiono database internazionali sempre più sofisticati. Se poi alle foto pubblicate in chiaro aggiungiamo materiali video girati in sede istituzionali il livello si alza arricchendo in modo impressionante il campionario delle informazioni disponibili. Ma non è finita, perché c’è un livello ulteriore, quello delle comunicazioni via chat o delle registrazioni in ambito privato.

Attenzione, qui non si tratta soltanto di valutare l’utilizzo che questa o quella persona può fare dei materiali realizzati o ottenuti. Qui si tratta di comprendere che esistono strumenti per impossessarsi di quei materiali o comunque di ottenerli a insaputa di tutti.

Per questo ribadisco che la vicenda di cui parliamo da giorni va ben oltre i temi oggetto del rapporto, personale e professionale, tra i protagonisti. Faccio un esempio, così ci capiamo meglio. mDa quando è scoppiato il caso sono passati circa 10 giorni. Un tempo non lungo ma nemmeno troppo breve.

Un tempo sufficiente per allertare la gran parte delle rappresentanze diplomatiche operanti in Italia, compresi i terminali delle attività di intelligence che nel nostro paese abbondano, molto oltre la consapevolezza diffusa. Non credo di andare lontano nell’immaginare la stesura di molte decine di report riservati, realizzati in Italia e spediti ai referenti di governo (e non) nei cinque continenti.

Il tutto a maggior ragione in vista della riunione G7 prevista a metà settembre. La leggerezza con la quale i protagonisti della vita istituzionale italiana trattano queste questioni è semplicemente imperdonabile, perché li mette più facilmente di quanto riescano ad immaginare in una posizione di fragilità. Non mi preoccupa quello che può decidere di fare o non fare Maria Rosaria Boccia. Mi preoccupa l’assenza pressoché totale di un’adeguata cultura istituzionale a difesa del sistema decisionale della nazione, esposto molto oltre quanto immagina ad attività ostili mascherate da comportamenti innocui. Svegliamoci, una volta per tutte.

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