Morte Bellocco, il criminologo Strano lancia l'allarme: “Rischio vendetta della ‘ndrangheta”
Non dal tifo organizzato, ma dalla ’Ndrangheta: è da qui che può partire la vendetta. Lo evidenzia all’Adnkronos il criminologo Marco Strano commentando l’arresto di Andrea Beretta, capo ultrà dell’Inter, accusato dell’omicidio a Cernusco sul Naviglio di Antonio Bellocco, anche lui legato alla curva nord nerazzurra. E la presenza di numerosi esponenti dell’organizzazione criminale nelle carceri lombarde, aggiunge, non promette nulla di buono: «È senz’altro pericoloso per il presunto assassino». Perché? La vicenda, spiega Strano, è iniziata in una palestra frequentata da molti membri della curva nord dell’Inter, ma non si tratta di una semplice lite tra tifosi.
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Antonio Bellocco, figlio di un potente boss della ’Ndrangheta della piana di Gioia Tauro, morto in carcere a gennaio, era destinato a prendere in mano le redini dell’organizzazione criminale in Lombardia: «La sua uccisione rappresenta una grave perdita per il clan - afferma il criminologo - e c’è il rischio che la criminalità organizzata non potrà ignorare un’offesa così grande». Le modalità, spiega Strano, con cui Bellocco è stato ucciso - pubblicamente davanti a una palestra, per mano di un conoscente, e nel contesto della criminalità - rendono la situazione ancora più delicata. «Un affronto simile, nella logica mafiosa, non può passare senza conseguenze», dice.
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Massima attenzione deve essere prestata alle prigioni: «Non è un mistero che le carceri del nord Italia, infatti, sono piene di affiliati alla ’Ndrangheta, che mantengono un controllo stretto sulle dinamiche interne. Anche il padre di Bellocco, deceduto a gennaio, era detenuto a Opera». Antonio Bellocco, continua il criminologo, «aveva legami con il mondo degli ultras dell’Inter, in particolare con la curva nord. Beretta, dal canto suo, è considerato il braccio destro del leader della tifoseria organizzata, recentemente scomparso, e ha ereditato una certa autorità all’interno di quel gruppo. Anche Bellocco aspirava a un ruolo di rilievo tra gli ultras, ma i suoi interessi principali rimanevano legati alla criminalità organizzata. La sua morte, per quanto significativa, non pare destinata - spiega Strano - a innescare una guerra interna al mondo del tifo. Il vero motivo del conflitto è legato al mondo della malavita, non a quello dello stadio».