Sharon, il gip non ha dubbi su Sangare: "Nessuna traccia di patologia psichiatrica"
Moussa Sangare ha agito con “lucidità” e il suo stato mentale era “pienamente integro”: a metterlo nero su bianco è la gip Raffaella Mascarino, nell’ordinanza di convalida del fermo con cui ha disposto che resti in carcere Sangare, reo confesso dell’omicidio di Sharon Verzeni. Un’evidenza confermata dai vari accorgimenti messi in atto dal 30enne sia prima che dopo aver commesso il delitto - come aver tagliato i capelli o aver modificato la bici - sia dagli psichiatri del penitenziario di Bergamo che lo hanno incontrato subito dopo il suo ingresso, venerdì scorso, e per i quali non esiste “alcuna traccia di patologia psichiatrica né remota né recente”.
Oltre a confermare quanto già confessato agli inquirenti, nell’interrogatorio di garanzia durato circa due ore, Sangare ha anche spiegato di aver sepolto l’arma del delitto sulle sponde del fiume Adda per tenere una sorta di “ricordo” di quanto aveva fatto. Mentre nell’abitazione occupata in cui risiedeva a Suisio i Ris di Parma hanno effettuato un lungo sopralluogo isolando alcuni reperti ritenuti di interesse investigativo.
“C'erano dei segnali e c'è un gran colpevole”. Crepet si arrabbia dopo la strage
La notte del delitto, avvenuto tra il 29 e il 30 luglio scorsi a Terno d’Isola, Sangare aveva puntato altre cinque persone - tre uomini e due ragazzini, non ancora identificati - esercitandosi anche a colpire una statua con il coltello preso da casa dopo aver trascorso la serata con degli amici in un parco a Medolago durante la quale non aveva bevuto né assunto droghe. Nel suo girovagare di circa 35-40 minuti, il 30enne - ricostruisce la gip - aveva individuato in Sharon - una donna sola, che camminava con le cuffiette - come il “soggetto giusto” e anche il “più vulnerabile” sul quale riversare quel “desiderio di provare realmente emozioni forti, in grado di scatenare nel suo animo quella scarica di adrenalina, seguita da uno stato di benessere e comfort”.
Un gesto omicidiario “posto in essere nella più totale assenza di qualche comprensibile motivazione, in maniera del tutto casuale, assolutamente gratuita, per non dire addirittura capricciosa”, si legge nel provvedimento cautelare, dove Sangare è descritto come “un soggetto che, spesso in preda alla noia, non avendo stabile attività lavorativa, impregnato dai valori trasmessi” da un genere musicale “che esalta la violenza, il sesso estremo, l’esigenza di prevalere attraverso la soggezione sugli altri appartenenti a un gruppo e in generale della società” come la trap e “che aveva architettato come passatempo quello di lanciare coltelli a una rudimentale sagoma di cartone, con apposto alla cima un cuscino su cui era disegnato un volto umano.
L'interrogatorio decisivo di Moussa Sangare: cosa ha detto al giudice
“Il pensiero che l’esistenza di una giovane donna sia stata stroncata per soddisfare motivazioni di questo genere, lascia francamente attoniti”, è il pensiero della giudice che, come chiesto dal pm Emanuele Marchisio, ha riconosciuto anche le aggravanti della premeditazione e dei futili motivi. Per il difensore Giacomo Maj, al contrario, Sangare quella sera “non era uscito con l’obiettivo di uccidere qualcuno. Era uscito con un ‘feeling’, un ‘mood’, lo chiama lui, che lo costringeva a fare qualcosa di male ma in modo imprecisato, non cosa o contro chi”. L’avvocato valuterà se chiedere la perizia psichiatrica, mentre la procura - a quanto si è appreso - non è intenzionata a chiedere una consulenza. A breve il 30enne sarà trasferito per motivi di incolumità da Bergamo in un altro carcere, dopo la rabbia e l’insofferenza manifestata da parte di altri detenuti con il lancio di bombolette incendiate.