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Sharon Verzeni, il dettaglio del contapassi. Bruzzone: "Conosceva il suo carnefice"

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Si indaga a 360 gradi per l'omicidio di Sharon Verzeni, la 33enne uccisa a coltellate in strada durante una passeggiata notturna a Terno d'Isola, in provincia di Bergamo, mentre il fidanzato dormiva in casa. In attesa di riscontri di tracce di Dna sul corpo della barista, circa una decina di persone tra vicini e altre persone della zona sono state sottoposte a rilievi genetici. L'ultima indiscrezione che trapela dalle indagini è quella sulle persone che potrebbero aver visto qualcosa la notte tra il 29 e il 30 luglio. 

 

Le telecamere della zona avrebbero documentato il passaggio in quei minuti di un uomo in bicicletta. Ma sarebbero diverse le persone - a piedi, in bicicletta e in moto - avvistate in zona in quel periodo che devono essere identificate.

Secono la criminologa Roberta Bruzzone, Verzeni conosceva l’assassino e non si è trattato di un delitto casuale. "La dinamica del delitto indica chiaramente che Sharon ha avuto un’interazione prolungata con il suo carnefice prima di essere uccisa", ha detto la consulente all'Adnkronos. A sostegno di questa tesi, la criminologa richiama un dettaglio cruciale, emerso dall’analisi del contapassi della giovane trovata senza vita a Terno d’Isola: "La ragazza ha percorso 630 metri in circa 50 minuti. Una distanza che una persona abituata a camminare avrebbe coperto in cinque o sei minuti". Per Bruzzone non ci sono dubbi: "Non si tratta di un’aggressione improvvisa, ma di un incontro prolungato, durante il quale la ragazza ha interagito con il suo carnefice".

 

Questa osservazione, secondo la criminologa, allontana nettamente l’idea di una violenza improvvisa. A rafforzare questa ipotesi è la scoperta di una traccia genetica, probabilmente appartenente all’assassino, rinvenuta sulla scena del crimine. Gli investigatori hanno concentrato i loro sforzi su una serie di test del Dna mirati. "La scelta di limitare l’indagine ai residenti di quella via è una mossa strategica molto sensata", spiega Bruzzone, "anche perché il numero di test necessari è relativamente contenuto". La criminologa esclude l’ipotesi di un test del Dna su vasta scala: "Gli investigatori hanno già in mano una profilazione preliminare, capace di indirizzare l’indagine verso sospetti specifici". 

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