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Medio oriente, così la difesa aerea cambia la guerra. L'analisi di Tricarico

Leonardo Tricarico
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È dura a morire la convinzione che quella rabbiosa salva di missili scagliata il 13 aprile scorso contro Israele dall’Iran sia stata una messa in scena, un bluff perché “telefonata”, come dicono anche commentatori che vanno per la maggiore ma in questo caso sprovvisti degli strumenti tecnici necessari per addentrarsi in una materia non loro. Sapere in anticipo che si sarà oggetto di un attacco aereo non aiuta a fronteggiarlo con maggior efficacia, questo è il punto di cui va preso atto, pena disinformare o -peggio- indurre in errore chi deve prendere decisioni. Vediamo perché.

 

Missili, droni, velivoli o qualunque altro aeromobile in penetrazione con intento ostile debbono essere avvistati, identificati come nemici e solo allora abbattuti. La prima fase, quella di avvistamento, avviene attraverso l’utilizzo di sistemi di radar disposti a copertura di tutte le possibili provenienze; se l’ incursione avviene a bassa quota, si ricorre ai radar volanti ad integrazione di quelli terrestri. Israele dispone dei migliori radar volanti attualmente in circolazione, capaci di individuare tutto ciò che si muove, a qualunque quota ed a partire da una velocità di circa 40 km/ora.

La fase successiva, quella dell’identificazione è forse la più complessa, quella che necessita della più perentoria e fulminea trattazione e decisione. Si tratta di capire se i puntini luminosi comparenti sugli schermi, le cosiddette tracce radar, sono associabili ad aeromobili amici o nemici, una consapevolezza da acquisire in fretta e con certezza, pena l’abbattimento di un velivolo amico.

 

In genere agli aeromobili amici, civili e militari, viene assegnato preliminarmente un codice di identificazione, una sorta di password temporanea che essi sono tenuti ad esibire e che sullo schermo radar viene riconosciuto visivamente ed in maniera inequivocabile.

Per tutte le altre tracce radar che non esibiscono il codice, va avviata un’inchiesta lampo per capire la loro natura. In genere si avvia una consultazione con gli enti di controllo del traffico civile, scambiando i dati caratteristici delle tracce -direzione, distanza, quota, velocità- per sapere se si tratti di velivoli sotto il loro controllo e quindi amici. Stesso coordinamento si fa ad esempio se in zona e’ presente una portaerei con velivoli in volo.

Soltanto quando certi della natura sconosciuta della traccia radar si passa, in tempo di guerra, ad ordinare l’abbattimento. Con missili, velivoli intercettori o altri sistemi.
Nel caso di Israele le attività di coordinamento si moltiplicano in quanto la copertura radar con la quale scoprire tracce ostili non è solo quella fornita dai propri sensori ma dal contributo di altri attori, quali le unità navali statunitensi nell’area, i radar di altri paesi amici o collaborativi quali Arabia Saudita, Iraq, Giordania e forse Egitto. Tutti costoro “passano” in automatico ad Israele ed ai suoi centri di controllo tutto il traffico osservato ed identificato dai loro radar, in modo che la situazione aerea complessiva possa essere la più integrata e completa possibile.

Da precisare che anche la fase successiva, quella della neutralizzazione della minaccia, può verosimilmente contare sul contributo dei paesi amici e dei loro missili antiaerei o velivoli da caccia, spesso già in volo quando vi è certezza dell’attacco o lo stesso sia già in corso. Facile immaginare anche peri non addetti ai lavori quale situazione si possa creare in una macchina così complessa, quale congestione frenetica di coordinamenti e decisioni, quando gli attacchi provengano in contemporanea da più direzioni, con i mezzi più disparati dai missili balistici a quelli da crociera, dai razzi ai droni o -anche se improbabile- ai velivoli bombardieri, alle quote più diverse ed in numero tale da propiziare una saturazione della risposta.

Tutte le operazioni di difesa qui descritte sono il minimo indispensabile per fronteggiare un attacco aereo e nessuna di esse, proprio nessuna, può trarre vantaggio dal fatto che l’attacco sia stato preannunciato con largo o contenuto anticipo. E se qualcuno affermerà il contrario lo si inviti, se se la sente, a darne dimostrazione calandone le ragioni nello scenario appena -seppur a grandi linee- descritto.

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