Mostro di Firenze

Mostro di Firenze, stessa pistola per il massacro di otto coppie. Ora il dna riapre il caso

Christian Campigli

Sesso, sangue, esoterismo e tanti misteri rimasti irrisolti. Il caso degli otto duplici omicidi legati al Mostro di Firenze è, senza ombra di dubbio, la vicenda di cronaca nera più densa di spunti, di intrighi e di errori investigativi e giudiziari del dopoguerra italiano. Oggi, a distanza di oltre cinquant’anni dal primo duplice delitto, una novità che potrebbe riaprire una storia mai realmente terminata. Su uno dei proiettili usati nell’omicidio dei francesi Jean-Michel Kraveichvili e Nadine Mauriot a Scopeti, nel 1985, sarebbe stato recuperato del materiale genetico che ricorrerebbe su altri due reperti dei delitti del 1983 e 1984. Il Dna dell’omicida - o di più persone - potrebbe essere ancora sulle salme delle vittime che provarono a difendersi, magari sotto le unghie. «Ogni sforzo per identificare il mostro di Firenze è positivo, a patto che sia figlio di elementi concreti, nuovi e validi e non suggestioni propinate per tenere in vita un caso a favore di imminenti eventi mediatici - ha ricordato Gianluigi Nuzzi, popolare volto Mediaset, che in più occasioni, a Quarto Grado, si è occupato del caso del Mostro di Firenze -. Sarà la magistratura a valutare, anche se nutro poche speranze che a distanza di tanti anni si possa arrivare a una verità certa e duratura».

 

 

Una storia che ebbe inizio nel 1968 e si concluse nel 1985. Otto coppiette di fidanzati, uccisi mentre si erano appartati in auto per fare l’amore. In zone isolate, in campagna o in aree boschive della provincia fiorentina. Ma se la location cambiava di volta in volta, l’arma usata restava sempre la stessa. Una pistola Beretta calibro 22 con lo stesso tipo di proiettili, munizioni Winchester marcate con la lettera «H» sul fondello del bossolo. Venivano praticate delle escissioni nella zona del pube e del seno sinistro. I delitti vennero commessi in strade di campagna sterrate o piazzole boschive nascoste. Nello specifico, a Signa, Borgo San Lorenzo, Scandicci, Calenzano, Baccaiano, Giogoli, Vicchio, Scopeti. La prima tesi investigativa si basò su quella che, comunemente, venne definita «la pista sarda». Stefano Mele prima, Francesco e Salvatore Vinci successivamente. Teorie, tesi, coincidenze. Ma poche, pochissime prove. E così, l’attenzione degli inquirenti si indirizzò su un contadino di Mercatale Val di Pesa, Pietro Pacciani. Un uomo che, per il suo passato violento, era «Il Mostro Perfetto». Pacciani aveva già ucciso (ed era stato condannato per questo reato) quando, a ventisei anni, aveva trovato la sua fidanzata appartata con un altro uomo, Severino Bonini. Col cadavere ancora caldo, il contadino aveva obbligato Miranda Bugli a fare sesso con lui. Una volta scontata la pena, si era sposato e aveva avuto due figlie. A metà degli anni Ottanta Pacciani venne condannato perché aveva violentato più volte le figlie. L’agricoltore venne arrestato successivamente il 17 gennaio 1993, con l’accusa di essere l’omicida delle otto coppie. Il primo novembre 1994 venne condannato all’ergastolo dalla Corte d’Assise di Firenze per essere il responsabile di quattordici dei sedici omicidi per cui era imputato (venne ritenuto non colpevole del primo duplice omicidio, quello del 1968). Quindici mesi più tardi, in appello, verrà giudicato innocente con la formula piena, ovvero «per non aver commesso il fatto», e dunque scarcerato. Il 22 febbraio 1998 morì in circostanze che, ancora oggi, non sono state chiarite.

 

 

Durante il processo di appello, la goffa testimonianza di un amico di Pacciani, Mario Vanni, regalò ai cronisti dell’epoca una definizione passata poi alla storia: quella dei compagni di merende. Mentre Pacciani veniva giudicato innocente, si apriva un nuovo processo a Vanni e Giancarlo Lotti, reo confesso. Il postino venne condannato al carcere a vita per quattro degli otto duplici omicidi e la pena fu resa definitiva nel 2000 dalla Corte di Cassazione. Lotti, disoccupato, alcolista, con gravi problemi intellettivi, viveva grazie agli aiuti della Caritas. La testimonianza di Fernando Pucci (giudicato poi innocente) che giurò di aver visto il delitto di Scopeti del 1985 e di essere stato lì condotto da Lotti, costrinse quest’ultimo a raccontare la verità. Il caso del Mostro di Firenze ha una verità giuridica acclarata, ma anche numerosi punti di domanda. La pistola non è mai stata ritrovata. Non sono mai state rintracciate le parti anatomiche asportate ad alcune delle vittime. I feticci di donna venivano consegnati (secondo la testimonianza di Lotti) ad un sedicente «dottore». Chi fosse, non è mai stato chiarito.