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Boxe olimpica nella bufera: "Dobbiamo aspettare che Carini si faccia male?"

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Francesca Schito
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Il mondo del pugilato, e in particolare quello italiano, è scosso dal match che andrà in scena oggi tra la campana Angela Carini e l’algerina Imane Khelif, nella categoria 66kg. Sia l’algerina sia la taiwanese Lin Yu-Ting sono presenti alle Olimpiadi mentre erano state escluse ai mondiali di un anno fa per non aver superato il gender test. Un caso paradossale che è esploso a Parigi a poche ore dall’incontro. Ne abbiamo parlato con Maria Moroni, prima atleta italiana donna tesserata con la Federazione Pugilistica italiana quando nel 2001 il pugilato femminile è stato riconosciuto in Italia.

Lei è stata l’apripista della nobile arte nel nostro Paese. Cosa ne pensa di quello che sta accadendo alle Olimpiadi?
«Non entro nel merito della medicina, io non sono un medico. Ci sono dei parametri e dei valori diversi tra l’Iba, ente mondiale del pugilato, e il Cio. Quindi ai Mondiali queste due atlete hanno partecipato e poi durante la competizione sono state escluse. L’algerina e la pugile di Taiwan non sono venute fuori dal nulla, sono conosciute, quindi io mi chiedo perché attendere i Giochi Olimpici per domandarsi se un’atleta donna con valori alti di testosterone possa combattere contro un’altra donna con valori regolari? Non si poteva risolvere prima questo contenzioso? Se questi valori del testosterone sono alti come quelli di un uomo, bisogna fare attenzione. Cosa dobbiamo aspettare? Che Carini si faccia male?».

Cosa è cambiato in un anno, dai Mondiali alle Olimpiadi per permettere loro di competere?
«I valori per competere ai Mondiali sono diversi rispetto a quelli dei Giochi. E poi potrebbe essere che abbiano fatto una cura per abbassare questi valori. Però mi lasci dire una co sa».

Prego.
«Con il pugilato non si scherza, non stiamo parlando di dama, scacchi o freccette, con tutto il rispetto. Quindi se ci sono dei parametri che servono per tutelare gli atleti, non ci si può permettere di commettere errori. E l’errore qui è alla base, alle loro Federazioni di origine, non possono combattere. Se durante l’esame della vista il risultato è di una vista troppo bassa, non si può fare il pugilato. E questa è la stessa cosa. L’atleta deve essere tutelato».

Questo discorso era già uscito con Caster Semenya nell’atletica, ma in uno sport di contatto questa disparità è ancora più evidente?
«Assolutamente sì. A livello traumatico non c’è paragone. Basta un pugno fatto male per rovinare una carriera e una vita. Io non sono d’accordo. Al di là dell’esito sportivo, Semenya non faceva male a nessuno. Accorgersene adesso è troppo tardi, bisognerebbe avere delle regole comuni tra le Federazioni e il Cio per tutelare gli atleti. Qui fallisce il sistema».

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