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Reddito di cittadinanza, l'ultima della Corte europea: vuole obbligare l'Inps a darlo ai migranti

Christian Campigli
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La legge simbolo del grillismo delle origini. Una norma che doveva creare posti di lavoro e che ha, al contrario, solo distribuito (tanti) soldi pubblici a pioggia ad eterni disoccupati. Una sentenza che rischia di aprire una piccola voragine nei conti pubblici italiani. L’Europa, dopo il grottesco report secondo il quale nel nostro Paese non vi sarebbe sufficiente libertà di stampa, entra nuovamente a gamba tesa sulle questioni di casa nostra. Ieri la Corte di Giustizia europea ha dichiarato illegittima una delle norme che regolava il (defunto) reddito di cittadinanza. Nello specifico, i magistrati hanno ritenuto non conforme ai valori e alle leggi del Vecchio Continente la prerogativa richiesta alle persone straniere che volevano far domanda per il mitologico sussidio di Stato.

 

 

Dobbiamo fare un salto nel passato e tornare al 2019, al primo governo Conte a trazione pentastellata, che partorì la legge che «avrebbe abolito la povertà», come ricordò intrepido Luigi Di Maio dal balcone di Palazzo Chigi. Matteo Salvini pretese che, quel sussidio che non aveva mai convinto l’elettorato del Nord, fosse quantomeno concesso agli italiani e agli stranieri residenti nello Stivale da almeno dieci anni, di cui due continuativi. Una legge che avrebbe evitato i cosiddetti «viaggi del reddito». Ovvero stranieri che venivano in Italia, facevano domanda del sussidio, per poi spendere quel denaro (nostro) in Romania, piuttosto che in Croazia, in Spagna come in Francia. Secondo i giudici europei, invece, l’Italia non può subordinare l’accesso dei cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo a una misura riguardante le prestazioni sociali, l’assistenza sociale o la protezione sociale al requisito di aver risieduto nel Paese per almeno dieci anni, gli ultimi due in modo continuativo. Tale requisito è una «discriminazione indiretta» e in base alla direttiva lo status di soggiornante di lungo periodo prevede il soggiorno di cinque anni ininterrotti per la parità di trattamento. Al danno vi è poi anche la beffa: secondo la corte Ue, l’Italia non ha nemmeno il potere di sanzionare penalmente una falsa dichiarazione riguardante tale requisito illegale di residenza.

 

 

Il rinvio a Lussemburgo è nato dall’accusa a due cittadine di Paesi terzi di aver commesso un reato firmando domande per ottenere il reddito di cittadinanza, prestazione sociale poi abolita il primo gennaio 2024. Due donne che avrebbero mentito nella domanda e avrebbero indebitamente percepito rispettivamente 3.414 e 3.187 euro. Il Tribunale di Napoli aveva chiesto alla Corte di Giustizia se tale requisito di residenza fosse conforme alla direttiva sui cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo. I giudici hanno sentenziato che cinque anni per lo status di soggiornante di lungo periodo devono essere considerati un periodo sufficiente per avere diritto alla parità di trattamento con i cittadini di tale Stato membro quanto a prestazioni sociali, assistenza sociale e protezione sociale. Adesso la palla, simbolicamente, passa alla Corte Costituzionale. Che dovrà dare una chiave di lettura più generale sul tema. Un eventuale pronunciamento coerente a quello europeo porterebbe ad un effetto a valanga sulle domande a suo tempo respinte. Un giochino, si fa per dire, che potrebbe costare (al contribuente italiano) la bellezza di 850 milioni. Una cifra teorizzata da Inps, che aveva già preparato un documento interno, in vista della sentenza. E così, dopo il salasso del 110, il genio grillino rischia di colpire ancora il già traballante erario italiano.

 

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