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Yara Gambirasio, il pm Ruggeri si difende: "Nelle provette non c'era più il Dna di Bossetti"

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La serie Netflix sul delitto di Yara Gambirasio, per il quale è stato condannato all’ergastolo Massimo Bossetti, ha gettato ombre sulle indagini. Ora nel mirino del Consiglio superiore della magistratura è finita il pm di Bergamo Letizia Ruggeri, indagata per presunto depistaggio a seguito della decisione di spostare 54 campioni biologici, con tracce miste di vittima e assassino, dal frigorifero dell’ospedale San Raffaele di Milano all’ufficio Corpi di reato del Tribunale di Bergamo. "In quelle 54 provette non c’è più niente, non c’è più nulla che possa essere analizzato, perché il Dna di Bossetti che è stato utilizzato è stato tutto consumato nella fase delle indagini preliminari". La voce di Letizia Ruggeri, la magistrata che ha dato un volto all’assassino di Yara Gambirasio, risuona a Venezia fin dal marzo del 2021. Per aver spostato quelle provette dal frigo dell’ospedale milanese San Raffaele all’ufficio Corpi di reato del tribunale di Bergamo è indagata per depistaggio e frode processuale. Sarà il gip veneto Alberto Scaramuzza - lo stesso che in passato ha sollecitato approfondimenti su di lei - a stabilire (non si conoscono i tempi della decisione) se il pm ha rispettato le regole oppure no.

 

 

 

Le dichiarazioni di Letizia Ruggeri, che resta lontana da telecamere e giornalisti, ora tornano attuali. «La custodia io l’ho fatta curare con le massime cautele fino al passaggio in giudicato della sentenza», poi dopo la Cassazione arriva la decisione di custodire le provette a «temperatura ambiente» perché «non ho ritenuto di onerare lo Stato di una spesa inutile» si legge nel verbale del 10 marzo del 2021 davanti all’allora procuratore vicario di Venezia Adelchi D’Ippolito. Verbale la cui versione integrale, rimasta finora inaccessibile, è in possesso dell’Adnkronos. Una difesa che la pm ripeterà nelle dichiarazioni spontanee del 13 febbraio del 2023 davanti alla procuratrice aggiunta di Venezia Paola Mossa. In quelle 54 provette su cui la difesa di Massimo Bossetti, condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio della 13enne di Brembate, insiste nell’analisi per tentare la revisione del processo resta «l’estratto più scadente» perché «il migliore Dna è stato utilizzato durante le indagini per addivenire a un profilo che fosse certo, che supportasse gli enormi costi che noi stavamo sostenendo» aggiunge l’allora testimone incalzata dalle domande.  

 

 

 

Presunti scarti che per gli stessi consulenti del pm Ruggeri - il professor Giorgio Casari e il colonnello del Ris Giampietro Lago sentiti in fase di indagini a Venezia - erano assolutamente idonei a effettuare una comparazione alla presenza, per la prima volta, dei consulenti della difesa. Una perizia mai concessa dai giudici in nessun grado. «Qualcosa magari si tira fuori, ma non con questa certezza in questi termini con cui mi viene prospettato adesso, nel modo più assoluto. Io so che era un materiale assolutamente…cioè i rimasugli assolutamente scadente, inidoneo per qualsiasi altra comparazione e ripetizione di esame» mette a verbale la pm Ruggeri. «Il Dna di Bossetti, così bello, così limpido, di cui abbiamo parlato per tutte queste udienze, così inequivocabile, da quei reperti non verrà mai più fuori. Questo è quello che loro hanno detto a me. Per cui rimango veramente sorpresa» aggiunge. Quella traccia genetica - «lampante, chiarissima» e «assolutamente inequivocabile» ai suoi occhi - su cui la Cassazione mette «una pietra tombale» è la prova regina contro Bossetti. Il match tra lui e Ignoto 1 arriva dopo quattro anni, il nome del condannato è «piovuto dal cielo, se non avessimo avuto il Dna non ci saremmo mai arrivati». Una traccia mista - di vittima e carnefice trovata sugli slip della minorenne - di cui in aula si è parlato «per 45 udienze, ne abbiamo discusso molto approfonditamente» e «la sentenza della Cassazione fa piazza pulita di tutti i dubbi» conclude, senza esitazione, Letizia Ruggeri.

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