frasi dal carcere

Turetta, intercettato il padre. Mentana: "Perde i diritti per aver allevato un mostro?"

Gabriele Imperiale

Filippo Turetta continua a far discutere. La conversazione intercettata nella sala colloqui del carcere Montorio di Verona tra l’omicida reo confesso di Giulia Cecchettin e suo padre ha scatenato un’ondata di indignazione e polemiche. In primo luogo per il contenuto dell’incontro. Alcune frasi dette dal padre del ragazzo sono sembrate l’ennesima grave offesa alla memoria della giovane studentessa di 22 anni uccisa a Vigonovo l’11 novembre dello scorso anno. Unanime è stata la condanna da parte di media e commentatori alle parole di Nicola Turetta. Ma l’uscita delle intercettazioni, il loro arrivo sui giornali e la loro diffusione all’opinione pubblica ha scatenato un dibattito nel dibattito. Tra chi è intervenuto sul caso c’è Enrico Mentana, il direttore del Tg La 7, che su Instagram ha offerto il suo punto di vista sulla vicenda.

 

 

“In tanti discutono sulle parole rivolte dal padre dell’assassino di Giulia Cecchettin al figlio durante un colloquio in carcere – esordisce – Non mi unisco né al coro di indignazione né a quello di comprensione”. Dopo questa breve premessa, il Mentana-pensiero: “Vorrei però capire come le frasi di un genitore in visita al figlio detenuto in attesa di giudizio nel parlatoio di un carcere vengano registrate e poi fatte uscire – spiega – pur essendo prive di qualsiasi contenuto utile alle indagini e per di più pronunciate da un cittadino non indagato”. Infine una domanda che, come è naturale che sia, ha dato il via a un botta e risposta tra Mentana e gli utenti: “O vogliamo aggiungere ai codici la norma per cui il padre dell’autore di un delitto efferato perde da subito a sua volta ogni diritto, come punizione per aver allevato un “mostro”?”. 

 

 

Sotto al post del direttore La 7, si è aperto il dibattito a cui Mentana – chiamato in causa – ha preso parte. Un utente scrive: “Enrico, rispetto il suo autorevole discorso ma non mi trova d'accordo. Ai fini processuali queste dichiarazioni sono utili quantomeno per tracciare un profilo psicologico familiare. Ma soprattutto servono a far comprendere quali possono essere le conseguenze di una educazione accondiscendente e giustificativa che può allontanare i figli dalle proprie responsabilità e dall'empatia”. Dura la risposta del giornalista: “Mi scusi ma non regge proprio: non esiste nulla di tutto questo nei codici, e in ogni caso nessuna parola pronunciata dopo il delitto può essere usata per ridisegnare il quadro precedente. Che un padre abbia toni consolatori verso un figlio che ha come prospettiva l'ergastolo, e per questo tenta di dargli obiettivi per andare avanti, come la laurea, nulla può indicarci sull'origine del femminicidio”.

 

 

 

Al commento dell’utente succitato ha risposto anche la giornalista Sky, Mariangela Pira: “Non sono d'accordo ma rispetto il suo parere. Le faccio un esempio. Se mio figlio fosse un assassino e io andassi a trovarlo in carcere non so cosa direi non essendomi mai trovata nella situazione. Di certo mi preoccuperei però, non è che smette di essere mio figlio. Forse il mio primo pensiero sarebbe lo stato psicologico, impedirgli per esempio di fare gesti estremi. E per questo io mi arrogherei diritto di potergli dire ciò che credo. SENZA ESSERE MANDATA IN PASTO AI MEDIA. E lo dice una giornalista che ha iniziato da un bel po' a stancarsi”.