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Yara, la serie tv delle polemiche. I genitori: "Ecco perché dicemmo di no"

Parla l'avvocato della famiglia: "Una linea troppo innocentista. E i processi non si fanno in tv"

Rita Cavallaro
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«La famiglia Gambirasio e noi difensori abbiamo ritenuto non fosse opportuno partecipare a questi spettacoli tv sulle vicende giudiziarie. La nostra linea è che i processi li facciamo in tribunale, non su Netflix. Quella serie, che io ho visto e non aggiunge nulla di nuovo rispetto alle solite cose che dice la difesa, è stata creata con un taglio innocentista. È evidente che è costruita per convincere gli spettatori che quel signore è innocente. Non è un’operazione neutra, ha una finalità ben precisa».

Parla in esclusiva a Il Tempo Andrea Pezzotta, avvocato dei genitori di Yara Gambirasio, la 13enne scomparsa da Brembate di Sopra il 26 novembre 2010 e ritrovata uccisa in un campo di Chignolo d’Isola il 26 febbraio 2011. Per il suo delitto è stato condannato all’ergastolo Massimo Bossetti, il muratore di Mapello arrestato il 16 giugno 2014 dopo un’indagine senza precedenti nel mondo dell’investigazione genetica. Dal dna "Ignoto 1" sugli slip della vittima alle comparazioni di circa 25mila profili genetici degli abitanti della zona, fino alla scoperta di una parentela e l’individuazione dell’assassino. La prova regina, le celle telefoniche, le immagini delle telecamere del furgone vicino alla zona della scomparsa della ragazzina, la totale mancanza di un alibi del sospettato e ad altri elementi rilevanti hanno costituito un impianto accusatorio ritenuto solido per 26 giudici in tre processi.

 

Ma la serie Netflix "Il Caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio", mostra al Paese un Bossetti convincente, insinuando che sia vittima di un errore giudiziario. Non solo cerca di smontare punto per punto tre anni di indagine, ma apre l’inquietante scenario che gli inquirenti avrebbero fabbricato in laboratorio la prova genetica per incastrare il muratore di Mapello. Congetture rafforzate attraverso il riferimento alla pm del caso, Letizia Ruggeri, la quale, dopo la condanna definitiva, spostò 54 campioni biologici nell’ufficio corpi di reato, sprovvisto di congelatori, causando così la degradazione degli esemplari che la difesa avrebbe voluto rianalizzare nel percorso di revisione.

La pm Ruggeri, per la vicenda, è stata indagata per depistaggio, ma la Procura ha già chiesto l’archiviazione. La serie si concentra d’altronde proprio sul dna, storicamente la prova regina e ora sotto accusa sia per la procedura che ha portato alla corrispondenza Ignoto 1- Bossetti sia per la questione dell’irripetibilità dell’accertamento. Un tampone salivare effettuato a Damiano Guerinoni, frequentatore della discoteca vicina al campo dove fu trovata cadavere Yara, era simile al profilo genetico sugli indumenti di Yara. Nell’albero genealogico trovarono Giuseppe Guerinoni, il cui dna indicava che era il padre dell’assassino. Cercarono tra le sue amanti e individuarono Ester Arzuffi, la mamma di Bossetti. La serie pone l’accento sulla circostanza che il figlio abbia incoraggiato la madre a sottoporsi al tampone richiesto dagli inquirenti, dando l’impressione che quel comportamento non fosse compatibile con un colpevole. Nessun accenno però al fatto che all’epoca Bossetti non era ancora a conoscenza di essere il figlio di Guerinoni. La docuserie, insomma, alimenta i dubbi per sostenere che il processo non è andato oltre ogni ragionevole dubbio.

«La cosa giusta l’ha detta Grasso sul Corriere della Sera, quando ha sottolineato che avrebbero dovuto intitolarla "Bossetti innocente"», commenta l’avvocato Pezzotta, che sottolinea come con la famiglia Gambirasio «non abbiamo minimamente parlato della serie. Se n’è parlato a suo tempo, quando ci avevano informato che volevano partire con questa iniziativa. Loro, seguendo la linea di sempre, hanno detto che volevano starne fuori nella maniera più assoluta. E devo dire che, alla luce di questo tipo di narrazione innocentista, siamo ben contenti di esserne rimasti fuori», ha concluso.

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