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Messina Denaro, terra bruciata intorno al boss. E l'archivio segreto è sempre più vicino

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Il Procuratore capo di Palermo Maurizio de Lucia lo aveva detto a chiare lettere, poche settimane fa: «Lo sforzo investigativo è quello di ricostruire quello che è successo, a cercare le talpe di un tempo e più recenti, quelli che gli hanno dato protezione anche per un solo giorno e che sono in possesso del suo patrimonio e che vogliono prendere il suo posto». E proprio seguendo i fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro, e in particolare Lorenza Lanceri, una delle donne con cui il boss aveva avuto una relazione, gli investigatori sono arrivati sulle tracce del residence che in queste ore viene perquisito a Mazara del Vallo (Trapani). Dopo la cattura di Messina Denaro, il 6 gennaio del 2023, gli inquirenti non si sono fermati un momento. Alla ricerca di chi ha permesso all’ex latitante di sfuggire alla giustizia per così tanto tempo. «Questa rete di fiancheggiatori c’è stata e c’è», ha spiegato il Procuratore, aggiungendo che alcuni dei nomi già individuati sono di professionisti di alto livello. Il sostegno al boss non proveniva solo dalla famiglia di sangue, ma anche dalla «famiglia» mafiosa. Dopo la cattura, Polizia e Carabinieri, hanno ripercorso più volte gli spostamenti del latitante, grazie alle videocamere e alle celle agganciate dal suo cellulare. E così hanno scoperto almeno in una occasione - una è certa - che Messina Denaro si era dato appuntamento con l’amante proprio nei pressi di Mazara del Vallo. Le videocamere hanno ripreso le loro auto in momenti diversi e poi ravvicinati. Pochi mesi fa il gup di Palermo ha condannato a 13 anni e 8 mesi in abbreviato, per concorso esterno in associazione mafiosa, Lorena Lanceri, la donna che per mesi, durante la latitanza, ha accudito il boss Matteo Messina Denaro.

 

 

La Procura di Palermo, di recente, ha chiesto la condanna a 15 anni di carcere per Laura Bonafede, la maestra di Campobello di Mazara, sentimentalmente legata a Messina Denaro. La Bonafede, figlia dello storico boss del paese, Leonardo, è accusata di associazione mafiosa. La requisitoria è stata condotta dai pm Piero Padova e Gianluca De Leo. Il processo si svolge con il rito abbreviato. Alla donna, arrestata ad aprile del 2023, inizialmente era stato contestato il reato di favoreggiamento aggravato, modificato nel corso delle indagini in quello di associazione mafiosa. La maestra è cugina di Andrea Bonafede, il geometra che ha prestato l’identità al boss durante l’ultima fase della latitanza e di altri due favoreggiatori del padrino, Emanuele e Andrea (omonimo del geometra). Secondo la Procura di Palermo, l’imputata sarebbe stata un pezzo fondamentale del meccanismo che per 30 anni ha protetto la latitanza di Messina Denaro. I due, insieme alla figlia della donna, Martina Gentile, ai domiciliari per favoreggiamento e procurata inosservanza della pena, avrebbero vissuto insieme e si sarebbero comunque sempre frequentati.

 

 

Ma ci sono anche professionisti ad avere favorito, secondo la Procura, il boss Messina Denaro. A processo il medico Alfonso Tumbarello, che ha rilasciato prescrizioni mediche ad Andrea Bonafede sotto la cui identità si celava Matteo Messina Denaro. Nei giorni scorsi ha testimoniato l’equipe medica della clinica Maddalena di Palermo presso cui era in cura. I testi, tutti e tre medici oncologi, hanno appreso dell’identità di Messina Denaro il giorno dell’arresto dai Carabinieri del ROS con la collaborazione del GIS in data 16 gennaio 2023 dopo trent’anni di latitanza. I tre medici oncologi hanno riferito che il tipo di ricovero di Messina Denaro era in Day Service ambulatoriale, assistenza specialistica dove veniva gestito il caso clinico dell’allora boss latitante attraverso l’erogazione di visite, esami strumentali e prestazioni terapeutiche e indagini diagnostiche. Non hanno avuto alcun tipo di rapporto personale se non quello tra medico e paziente. Intanto proseguono le perquisizioni della Dda di Palermo, coordinata dal procuratore Maurizio De Lucia, che ha disposto il controllo di tutti i garage del complesso residenziale e una ispezione dei luoghi del residence di Mazara del Vallo. Ma la ricerca dei fiancheggiatori prosegue. Messina Denaro «ha potuto contare, nel tempo, su una rete di protezione». «Quelli che lo proteggevano 30 anni fa non sono quelli che lo hanno protetto fino al giorno della cattura o quasi. È chiaro che ci sono pezzi dello Stato che lo hanno aiutato, come fu per Bernardo Provenzano», ha spiegato de Lucia. Investigatori e inquirenti sono a caccia del covo in cui potrebbe esserci l’ archivio di Messina Denaro che, durante uno degli interrogatori, ha detto sprezzante ai pm: «Tanto non lo troverete mai».

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