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Sprecopoli Pd, chi butta davvero i soldi della sanità: le regioni a confronto

Edoardo Sirignano
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Una sanità stremata da liste d’attesa, ritardi, carenza di personale. Con un Pd in piazza un giorno sì e uno no a predicare sanità pubblica e ad attaccare, per voce del segretario Elly Schlein, il modello Lazio del governatore Francesco Rocca. Eppure, dati alla mano, le cose non stanno affatto così. E in questa inchiesta Il Tempo compara i diversi modelli di gestione. Chi privatizza ed esternalizza senza risultati è proprio il Pd, il sistema delle regioni rosse. Milioni di euro per presunti piani dell’emergenza, che hanno come risultato zero vantaggi per l’utente e disavanzi in crescita per le casse pubbliche. A partire dalla Puglia di Michele Emiliano, dove – dati alla mano – sono gli stessi sindacati ad accusare la Regione di sprechi, soprattutto nella gestione affidata in house alle Asl pugliesi. Solo fra il 2022 e il 2023 il deficit fu di circa 800 milioni, poi attestatosi a poco meno di 200 milioni grazie al salvataggio in extremis da parte dello Stato. Al contrario, il modello Lazio uscito dal baratro rosso della gestione di Nicola Zingaretti e dell’assessore Alessio D’Amato, segna una scalata nella classifica dell’efficienza e riporta la Regione da fanalino di coda ai posti più alti della graduatoria.

Il caso Puglia
La sprecopoli sanitaria, secondo quanto riferisce non l’Ugl, ma la stessa Cgil, il sindacato guidato da Maurizio Landini, primo alleato di Elly Schlein e Giuseppe Conte proprio in Puglia, parte da Bari, dalla Regione guidata da Michele Emiliano, l’ex magistrato, che ogni giorno dispensa lezioni di welfare. A essere contestata una nota inviata martedì 9 luglio, in cui viene annunciato lo stanziamento di ben 30 milioni ai privati per smaltire le liste d’attesa (20 milioni destinati a ricoveri e day service, 10 milioni per prestazioni ambulatoriali e di radiodiagnostica). «È proprio inevitabile – dichiarano Gigia Bucci, segretaria Cgil Puglia, Michele Tassiello, Spi Cgil Puglia e Luigi Lonigro, Fp Cgil Puglia – ritenere la strada del finanziamento privato l’unica percorribile? Nel passato si è fatto lo stesso, ma non ci pare che si siano fatti passi in avanti». Seppure l’ente risulti tra quelli più spendaccioni, per un esame, a queste latitudini, si possono aspettare addirittura 800 giorni. Motivo per cui le associazioni di categoria, anche quelle più vicine al centrosinistra che governa, non si fidano e si mobilitano contro chi, a loro dire, «vede la sanità privata non come elemento di integrazione, ma di sostituzione del pubblico».

A smantellare gli ospedali a vantaggio di pochi, dunque, nella terra che ha ospitato il G7, non è la tanto criticata Giorgia Meloni, ma il sistema delle Asl, che portano a casa risultati di bilancio in rosso perenne. E questa partita è più delicata di quella che appare, tanto che Emiliano stesso ha spinto per convocare un Consiglio regionale proprio su questa emergenza. Azione e FdI sono passati al contrattacco: «Emiliano non si azzardi a portare a termine il suo disegno di ridurre gli screening oncologici sui tumori al seno e al colon, altrimenti sarà “guerra” totale e con ogni mezzo consentito dai regolamenti», hanno avvertito il consigliere e commissario regionale di Azione Fabiano Amati, e il capogruppo in Consiglio regionale, Ruggiero Mennea. «Da oggi – ha rincarato la dose Renato Perrini (FdI) - per migliaia di pugliesi non sarà più possibile accedere agli screening gratuiti per la prevenzione contro il tumore al colon e alla mammella. Una circolare del dipartimento Salute della Regione Puglia ha, infatti, imposto alle Asl e agli ospedali regionali lo stop all’estensione degli screening per prevenire questo tipo di tumori».

Il modello dei compagni
Questo “sistema”, però, non riguarda solo la terra dei Vendola e dei D’Alema, che a riguardo non proferiscono parola, ma tutto quel profondo Sud, considerato dalla sinistra fortino invalicabile. Il modello Emiliano, infatti, somiglia molto a quello di Vincenzo De Luca, che stanzia decine di milioni al mese per una sanità, che resta tra le peggiori d’Italia. Non dimentichiamo che la Campania batte ogni record per quanto concerne i migranti ospedalieri, ovvero quei malati, che non potendo aspettare mesi e mesi per una risonanza, sono costretti a spostarsi dal Sud al Nord. Meglio dell’uomo dei lanciafiamme, però, non fa il presidente del Pd Stefano Bonaccini. Ricordiamo che il debito in quell’Emilia, che ha presieduto fino a qualche giorno fa, ovvero fino a quando è stato eletto in Europa (o come dice qualche malpensante da cui è fuggito), è di oltre un milione di euro. Un disavanzo, che riferiscono, gli amministratori regionali, si cerca di ricoprire con i fondi del Pnrr. Peccato che gran parte di questi, come dicono i comunicati delle minoranze, vengono impiegati per amministrativi e comunicazione. Nelle Regioni, considerate roccaforti delle cooperative diminuiscono i concorsi per i medici, che fuggono altrove perché stanchi di guadagnare meno di dieci euro all’ora, mentre abbondano quelli destinati ad un personale, che pur avendo una sua utilità, ha poco a vedere con la cura delle persone.

Il bersaglio Rocca
Nonostante ciò, proprio dal Pd il bersaglio è Francesco Rocca, la ricetta del governatore per uscire dall’impasse lasciata in eredità dall’amministrazione Zingaretti-D’Amato. La Regione Lazio sempre nel mirino dell’opposizione, dati alla mano, ha cominciato, in pochi mesi, a invertire un trend che durava da un decennio e aveva portato il buco dell’ente fuori controllo. Fino all’avvio di un piano di 14mila assunzioni, autorizzate nel 2023 e nel 2024, l’investimento più importante degli ultimi venti anni, considerando i 661 milioni e 500mila euro spesi. Azione basilare soprattutto quella che concerne i camici bianchi. Dall’esecutivo di centrodestra autorizzati 335 milioni per l’assunzione di 3900 medici, mentre 168 milioni di euro per 3800 infermieri. Per non parlare, poi, delle tante inaugurazioni. L’ultima è quella relativa alla terapia sub-intensiva del presidio ospedaliero Giovanni Battista Grassi, che si terrà il 15 luglio. Altra nota positiva la proroga del progetto sperimentale per la gestione del sovraffollamento nei pronto soccorso. Nell’ultimo anno calate del 83% le ambulanze e le barelle bloccate, mentre diminuite del 29% le attese tra i corridoi dei nosocomi. Risultati non da poco, considerando il punto di partenza. Tutto ciò, però, non basta a placare il grido unisono dei compagni che, da Roma a Viterbo, sembrano sappiano pronunciare una sola parola: privatizzazione.

La risposta della maggioranza
Sono gli stessi, d’altronde, che predicano barricate contro l’ultimo decreto governativo per ridurre le liste di attesa. «Non ci possono venire a dire – dichiara il senatore di Fratelli d’Italia Francesco Zaffini, presidente della commissione Sanità e Lavoro di Palazzo Madama - che è da buttare alle ortiche, perché le Regioni, che poi sono le loro Regioni, fanno politica sulla pelle dei cittadini, non accettano di essere controllate e soprattutto non accettano di lasciare che lo Stato verifichi dove va a finire il fiume di denaro, che gli viene indirizzato».
 

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