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Viganò, viaggio nell'eremo dello scisma tra silenzi, misteri e porte chiuse

Tommaso Zei
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Blindati nella quiete della Palanzana di Viterbo tra una riservatezza che sfiora la clausura e tentativi di depistaggio nei confronti di chi osa chiedere informazioni citofonando al cancello. Siamo all’eremo di Sant’Antonio dell’associazione Exsurge Domine, dove ha sede il quartier generale degli scismatici di monsignor Carlo Maria Viganò. Fuori la strada è deserta, nessun fedele in pellegrinaggio, passa solo qualche escursionista, diretto verso la cima del promontorio, che alle vicissitudini di Santa Romana Chiesa non sembra affatto interessato. Il convento, per la cronaca, fu fondato nel 1500 dai cappuccini. Nel 1870, anno della presa di Roma, fu alienato e venne acquisito da due frati per poi tornare nell’alveo dei cappuccini. Rimasto abbandonato a causa del calo delle vocazioni, fu acquistato negli anni Sessanta dalla signorina Alfieri, fondatrice di Familia Christi. Alla sua morte la struttura è stata ereditata dall’associazione Vittorio e Tommasina Alfieri. Mentre l’arcivescovo scomunicato continua ad alzare la voce contro papa Francesco e i vertici del Vaticano, ai piedi del monte che svetta sul capoluogo della Tuscia, dove è partito di fatto l’assalto a Bergoglio, le bocche sono cucite.

 

 

 

O almeno, si aprono solo per pronunciare centellinate parole di circostanza: «Monsignor Viganò non è qui con noi, grazie». Ma intanto proprio da qui l’ex nunzio apostolico del Vaticano negli Stati Uniti, tra conferme e smentite della sua presenza, sta portando avanti la sua personale «crociata» contro la Santa Sede, chiedendo a gran voce ai fedeli di «unirsi per trionfare contro i nemici della Chiesa» e continuando a celebra re messa nonostante la scomunica arrivata per il delitto di sci sma. Le parole e le richieste dell’arcivescovo, che ha definito il Concilio Vaticano II come un «cancro ideologico, teologico morale e liturgico», apostrofando la Chiesa sinodale come una «metastasi», al momento, non sembrano però aver indottrinato o convinto molti fedeli. Fuori all’eremo di Viterbo, infatti, dall’inizio dello «scisma», non si sono mai registrati pellegrinaggi, o gesti espliciti a favore di Viganò e di quella chiesa tradizionalista che continua a citare.

 

 

 

A passare lungo la strada che porta verso il convento sono solo pochi abitanti della zona, quasi disinteressati, e soprattutto molti giovani prelati, tutti rigorosamente in silenzio e attenti a dribblare ogni qualsiasi domanda sulla questione, mentre entrano all’interno del villaggio monastico, pronto a diventare, per volere di Viganò, una casa di formazione (creata dall’associazione Exsurge Domine) per chierici che prenderà il nome di Collegium traditionis. L’ultima sferzata contro il pontefice, è arrivata lunedì scorso, con un infuocato tweet pubblicato sulla piattaforma X, dove l’arcivescovo, che ora rischia anche di perdere il titolo di prelato, ha postato i decreti che hanno portato alla scomunica, tornando ad accusare fortemente Bergoglio, ma anche il cardinale Victor Manuel Fernández, per le posizioni rispetto al tema della benedizione delle coppie gay. Quella contro Papa Francesco, è una battaglia che Viganò ha intrapreso ormai da anni. Tanto - nel corso del tempo, e dopo averlo accusato di anche di aver coperto il cardinale americano Theodore McCarrick dall’accusa di abusi contro alcuni seminaristi - da chiedere le dimissioni. Una battaglia che non sembra voler conoscere sosta, in attesa del prossimo affondo.

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