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Vertice Nato, l'Alleanza è "mutata". Tricarico: è ora che tutti lo capiscano

Leonardo Tricarico
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Se non sarà l’ipocrisia il tratto distintivo del vertice Nato di Washington della prossima settimana, certo sarà qualcosa che le assomiglia molto. Le dichiarazioni preparatorie di Stoltenberg e di altri paesi membri, tra cui il nostro, lasciano chiaramente intendere che di fatto tutti fingeranno di non vedere il mutamento genetico dell’Alleanza, così come si è andato delineando nel tempo, e che pertanto non ci sarà motivo di rivisitazione profonda delle ragioni che ci tengono insieme, per vedere se non sia il caso di rispettarle o molto più pragmaticamente, di riscriverle.

Si è ribadito, ad esempio, non più tardi di una paio di giorni fa, che la Nato è un’alleanza «prettamente difensiva»; salvo poi dimenticare che nei 75 anni di vita che si celebrano a Washington, una sola volta - in occasione dell’attentato di Bin Laden agli Usa nel 2001- è scattata la solidarietà collettiva mediamte il ricorso all’art 5. In tutti gli altri non pochi interventi armati della Nato sono sempre state altre le ragioni della discesa in campo, e talvolta senza neppure la copertura di una risoluzione Onu.

 

Altro non trascurabile inadempimento purtroppo oggi sotto gli occhi di tutti quello che fa obbligo ai paesi membri di «impegnarsi a comporre con mezzi pacifici qualsiasi controversia internazionale in cui potrebbero essere coinvolti».

In tutta onestà, nessuno in questi anni di guerra in Ucraina può rivendicare di aver tenuto fede a questo fondamentale impegno, a cominciare dall’azionista di maggioranza, gli Stati Uniti. Definire Putin un macellaio e invocare pubblicamente la sua destituzione a sole poche settimane dall’invasione dell’Ucraina vuol dire aver avviato un’escalation difficilmente gestibile, vuol dire aver gettato benzina sul fuoco; esattamente il contrario di quello che la Nato impone. La guerra in Ucraina ha poi fatto venire allo scoperto molti altri disallineamenti, già operanti nei fatti, ma ancora non percepiti come tali se non dagli addetti ai lavori.

Il ruolo guida degli Usa, ad esempio, è andato sempre più scivolando verso un abuso del ruolo stesso. Una concertazione vera sulle questioni importanti non c’è mai stata, tutti hanno tacitamente accettato di seguire acriticamente la linea tracciata dell’amministrazione statunitense; linea statunitense fino ad ora sostanzialmente sorda alle richiesta di tutela degli interessi che non coincidessero con i loro, come ad esempio quello che - c’è da scommettere - il nostro governo ribadirà per l’ennesima volta a Washington, quello di considerare più seriamente il fronte sud dell’alleanza, il continente africano, quello dove stanno mettendo radici ed espandendosi i rischi più insidiosi per l’Europa e per la comunità internazionale negli anni a venire.

 

Questi sono solo i più importanti quesiti che dovrebbero essere centrali nel summit Nato e che purtroppo resteranno ancora una volta senza risposta. E a scanso di equivoci, vista la ormai automatica etichettatura per ogni presa di posizione critica, ritengo non superfluo sottolineare che nessuno più di chi scrive è convinto della insostituibilità della Nato, della necessità ora più che mai di un suo perfetto stato di salute in quanto strumento militare in grado di imporre, con le buone o con le cattive, il mantenimento o il ristabilimento della pace e il rispetto dei diritti. Ecco perché oggi bisogna metter fine alle violazioni quotidiane di cui l’Allenza è vittima sistematica da parte dei suoi 32 paesi membri, in diversa misura ma nessuno escluso. C’è bisogno in definitiva di giocare a carte e viso scoperti, di attivare un serio processo di concertazione e confronto, di ristabilire condizioni di pari dignità a un tavolo di riforme vere, prima che qualcuno, magari da novembre in poi, lo faccia di imperio.

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