Caso Orlandi, nuovo giallo: la bara sparita di Skerl e il collezionista di ossa
C’è un filo rosso che lega la scomparsa di Emanuela Orlandi, il furto della bara di Katy Skerl e il collezionista di ossa, mai individuato, della Magliana. Sullo sfondo l’anello di congiunzione: Marco Accetti. Il fotografo bollato come un mitomane ma che invece sarebbe il telefonista del caso Orlandi, oltre all'uomo che avrebbe telefonato per indicare com’era vestita Mirella Gregori poco dopo la sua scomparsa, colui che dette la notizia della sparizione del sepolcro della Skerl e ancora il sospettato numero uno nell’ultima inchiesta sul rapimento di Emanuela, avverso l’archiviazione si era pronunciato l’allora procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, che in una lettera riservata al suo capo Giuseppe Pignatone ribadiva, in riferimento al fotografo, «la necessità di espletare alcuni specifici atti istruttori che voi non avete ritenuti né necessari né opportuni tra i quali anche una perizia psichiatrica nei confronti dell’Accetti... tesi, quantomeno ad escludere, la possibilità che l’Accetti sia un serial killer che abbia confessato la sua partecipazione in orridi delitti in modo tale da non poterne essere coinvolto processualmente».
Insomma, in quella missiva del 17 aprile 2015, il pm Capaldo gettava su Accetti l’ombra dell’assassino seriale, di un personaggio controverso e forse impegnato a giocare al gatto e al topo con la polizia.
Accetti, che si è autoaccusato di aver rapito la cittadina vaticana svanita nel nulla il 22 giugno 1983, oggi sta collaborando alle indagini del pm di Roma, Erminio Amelio, sulla scomparsa dei resti di Katy Skerl, la 17enne romana trovata ammazzata il 22 gennaio 1984 a Grottaferrata. Era stato sempre il fotografo, nel 2015, a chiedere alla Procura di far riaprire la tomba di Skerl, rivelando che le ossa della ragazza erano state trafugate nel 2005, come hanno infatti accertato le indagini della polizia, e che anche quel delitto era collegato alla scomparsa della Orlandi.
Accetti sosteneva che Katy era stata uccisa su commissione «da una fazione interna ad ambienti vaticani», opposta a quella di cui avrebbe fatto parte lo stesso Accetti e «contraria alla politica eccessivamente anticomunista di Papa Giovanni Paolo II». Il fotografo ha inoltre descritto con dovizia di particolari gli indumenti che indossava la Skerl il giorno del rapimento e dell’esecuzione. L’ipotesi è che quella bara nascondesse qualcosa di compromettente e per questo il corpo è stato trafugato. Ma che fine hanno fatto i suoi resti, mai ritrovati in tutti questi anni?
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Man mano che l’inchiesta va avanti, emergono dubbi inquietanti che si legano al caso del collezionista di ossa della Capitale, una macabra storia che, guarda caso, ha un legame con il Vaticano. Si tratta della scomparsa di Libero Ricci, un pensionato della Magliana ed ex restauratore per una ditta appaltatrice d’Oltretevere, svanito nel nulla il 31 ottobre 2003. Quattro anni dopo i vigili del fuoco, intervenuti a via Pescaglia per un incendio tra le sterpaglie in riva al Tevere, credettero di aver trovato i resti di Libero, quando si imbatterono in uno scheletro perfettamente composto, con accanto uno zainetto al cui interno c’erano la carta d’identità di Ricci e le chiavi di casa.
Il caso, però, era tutt’altro che destinato ad essere chiuso. Anzi, quello era solo l’inizio di un puzzle dell’orrore, perché le analisi scientifiche svelarono che lo scheletro non era del pensionato, ma era composto dalle ossa di ben cinque persone, tre donne e due uomini morti in un arco temporale diverso, tra gli anni Ottanta e l’inizio del Duemila. Il collezionista di ossa aveva inserito in quel feticcio un terribile legame con Ricci. Il dna estratto dal teschio era riconducibile a una donna, denominata «F1» e deceduta tra il 2002 e il 2006 a un'età compresa tra i 45 e i 55 anni, era compatibile con il profilo genetico di Libero. Si tratterebbe di una parente del pensionato, forse una cugina. Gli inquirenti non sono mai riusciti a risalire alla sua identità, così come non hanno idea di chi possano essere le altre quattro persone.
Tra queste i resti della vittima F2, il cui profilo genetico è stato tratteggiato da una tibia. Dall’esame delle ossa sarebbe una ragazza tra i 20 e i 35 anni, morta tra il 1992 e il 1998. La radiodatazione, attraverso l’isotopo del carbonio 14, seppure precisa nella determinazione di archi temporali che vanno nell’ordine di decenni, può portare con sé degli slittamenti nella stima del breve periodo, per cui non si può escludere, anche in relazione alla conservazione e all'intervento di agenti atmosferici, che F2 possa essere morta qualche anno prima del ’92. E visto che i resti trafugati della Skerl non sono più stati ritrovati, una comparazione del dna della ragazza con la tibia dello scheletro potrebbe dare risposte, in un senso o nell'altro. E anche Accetti, di fronte a nuove prove, potrebbe dover fornire nuovi dettagli.