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Giulia Cecchettin, l'interrogatorio da brividi di Filippo Turetta: “Il nostro rapporto doveva continuare”

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«Io ovviamente avrei sempre voluto tornare insieme a lei, non vorrei essere mai arrivato a fare questo, avevo pensato qualche volta di farmi del male io, ma a lei non avrei voluto…non avrei mai pensato di farle...di farle questo, ecco». Sono le parole che Filippo Turetta pronuncia, nel suo interrogatorio nel carcere di Verona, davanti al pubblico ministero di Venezia Andrea Petroni. Una confessione piena in cui il ventiduenne, una borsa di studio e cinque esami alla laurea in Ingegneria biomedica, ricostruisce il femminicidio dell’ex fidanzata Giulia Cecchettin, 22 anni di Vigonovo (Padova). Nel lungo verbale, visionato dall’ Adnkronos e in parte anticipato dal programma tv ’Quarto grado’, Turetta ricostruisce la relazione con la compagna di università, le liti finite in due occasioni con degli strattoni «per scaricare la rabbia», i rapporti di Giulia con gli amici da cui «non volevo sentirmi escluso», i ricatti emotivi («sto troppo male perché ci siamo lasciati, non riesco a fare niente, mi farebbe stare meglio, mi aiuterebbe vederci», le diceva), la protettiva sorella Elena a cui «sentivo fin dall’inizio di non essere piaciuto».

A lungo si mostra incapace di accettare la fine di una relazione, «la cosa che contava di più di tutte era sentirla e scrivere con lei o vederla e quindi il fatto che lei scrivesse meno o volesse un po’ cancellare i rapporti mi faceva stare molto male, cioè, molto triste». Una rivelazione che fa anche a uno psicologo. Il racconto dell’11 novembre del 2023 è quello di una giornata normale, quando prima di affondare il coltello - ben 75 volte dirà l’autopsia - «non è successo niente». Il giro al centro commerciale di Marghera, la cena insieme, poi la prima aggressione nel parcheggio a 150 metri da casa di Giulia. La laureanda ha le idee chiare sul suo futuro senza Filippo. Rifiuta i suoi ultimi regali, tra cui un peluche e un libro illustrato. «Le urlavo che non era giusto, che non doveva essere cosi, che io avevo bisogno vitale di lei, del nostro rapporto, che non dovesse voler cancellarmi o altro, non dovesse voler eliminare il nostro rapporto perché mi sarei...pensavo anche di... stavo male, pensavo di suicidarmi e che lei, insomma, invece doveva... doveva continuare col nostro rapporto…mi aveva promesso che non sarebbe mai più tornata insieme a me in qualsiasi caso».

 

 

Una fine che segna la fine di Giulia Cecchettin. «Ero molto arrabbiato, non volevo che andasse via. (…) Volevo che stesse con me. Volevo prima che non urlasse, che tornasse in macchina, volevo che stesse ancora in macchina con me, che discutessimo ancora, che parlassimo». Nel parcheggio a Vigonovo, la studentessa scende all’auto e lui la blocca, le sferra «alla cieca» una prima coltellata, Giulia grida ’aiutò poi è stordita per la caduta, il coltello si rompe e lui la carica in auto, sul sedile posteriore, lontano dalla borsa con il cellulare che resta davanti. «Non sapevo dove andare» poi si dirige verso la zona industriale di Fossò, mentre Giulia prova a reagire ma il secondo tentativo di fuga diventa mortale. «Ho colpito un po’ tutto, le braccia, il collo, la faccia, il torace, la nuca» dice mimando davanti al pubblico ministero il gesto con le mani. «In quel momento ero un po’ in panico, l’ho colpita…poi si proteggeva con le braccia, a un certo punto non ho guardato neanche più dove stavo colpendo». L’ultima coltellata è sull’occhio: «ho smesso subito, non avrei voluto colpirla in certi punti» e aggiunge: «un po’ perché non reggevo più tanto, un po’ perché mi ero accorto di averle dato una coltellata sull’occhio e la cosa mi faceva troppo senso e quindi ho smesso». La ricarica sulla sua Fiat Punto quando Giulia è già morta.

Non parla di raptus o blackout, ma alcuni dettagli non li ricorda e confessa di non aver avuto un piano di fuga. Racconta di essersi liberato lungo la strada degli abiti sporchi di sangue, del coltello e del cellulare della ventiduenne per guadagnare tempo, e di essersi diretto verso le montagne con due obiettivi: nascondere Giulia e suicidarsi. La scelta cade sul lago di Barcis, in provincia di Pordenone, a cento chilometri da casa Cecchettin. Turetta abbandona la vittima e la copre con dei sacchi neri «perché non venisse rovinato e fosse trovato nelle migliori condizioni», ma anche per avere «un po’ di tempo per riuscire a togliermi la vita, e ovviamente non volevo essere trovato subito sennò non ce l’avrei fatta». Un tentativo che va a vuoto almeno un paio di volte perché «non ho avuto mai il coraggio» poi la visione dell’appello dei genitori in tv e quindi la ’resa’ con l’arresto vicino Lipsia, in Germania, dopo sette giorni dall’omicidio di Giulia Cecchettin. La procura gli contesta l’omicidio volontario aggravato da premeditazione, crudeltà e legame affettivo, e i reati di sequestro di persona, occultamento di cadavere e porto d’armi. Il prossimo 15 luglio comparirà davanti al gup di Venezia per la prima udienza preliminare.

 

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