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Cecchettin, Turetta ai pm: "Sentiva un altro, ingiusto vivesse senza di me"

A sette mesi dal delitto di Giulia Cecchettin che ha scosso profondamente l'Italia emerge il verbale della confessione di Filippo Turetta, l'ex fidanzato in carcere a Verona.  «Continuava a chiedere aiuto. Le ho dato, non so, una decina, dodici, tredici colpi con il coltello. Volevo colpirla al collo, alle spalle, sulla testa, sulla faccia e poi sulle braccia», dice nell’interrogatorio di Turetta da cui trapela l’angoscia degli ultimi momenti di vita della 22enne di Vigonovo (Padova), laureanda in Ingegneria biomedica uccisa dall’ex fidanzato e compagno di studi l’11 dicembre scorso. I regali rifiutati, la rabbia che sale quando capisce di averla persa, il coltello che affonda mentre lei grida "aiuto" e tenta di parare i colpi. Nel carcere di Verona, davanti al pubblico ministero di Venezia Andrea Petroni, il giovane ricostruisce la serata trascorsa a fare shopping e la cena in un centro commerciale a Marghera, quindi il viaggio di ritorno con l’auto che si ferma in un parcheggio a 150 metri dalla casa di Giulia. «Volevo darle un regalo, una scimmietta mostriciattolo. Con me avevo uno zainetto che conteneva altri regali: un’altra scimmietta di peluche, una lampada piccolina, un libretto d’illustrazione per bambini. Lei si è rifiutata di prenderlo. Abbiamo iniziato a discutere. Mi ha detto che ero troppo dipendente, troppo appiccicoso con lei. Voleva andare avanti, stava creando nuove relazioni, si stava ’sentendo' con un altro ragazzo», dice Turetta nel verbale del primo dicembre il cui contenuto è stato diffuso venerdì 21 giugno da Quarto grado, la trasmissione di Rete 4. Il giovane dunque arriva a dire che riteneva ingiusto che Giulia vivesse senza di lui, e allude a nuove amicizie della ragazza. 

 

La lite diventa aggressione. «Ho urlato che non era giusto, che avevo bisogno di lei, che mi sarei suicidato. Lei ha risposto decisa che non sarebbe tornata con me. È scesa dalla macchina, gridando ’Sei matto, vaffanculo, lasciami in pacè» racconta il ventiduenne al pm. «Ero molto arrabbiato. Prima di uscire anch’io, ho preso un coltello dalla tasca posteriore del sedile del guidatore. L’ho rincorsa, l’ho afferrata per un braccio tenendo il coltello nella destra. Lei urlava ’aiuto' ed è caduta. Mi sono abbassato su di lei, le ho dato un colpo sul braccio, mi pare di ricordare che il coltello si sia rotto subito dopo. Allora l’ho presa per le spalle mentre era per terra. Lei resisteva. Ha sbattuto la testa. L’ho caricata sul sedile posteriore». Urla che saranno sentite da un testimone, ma che non basteranno a salvare Giulia Cecchettin.