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Il Roma Pride divide i gay. Dopo il divieto agli ebrei c'è il carro coi volti “sinistri”

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Edoardo Sirignano
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Altro che unire, il Pride di Roma 2024 divide. Al posto di un chiarimento rispetto all’esclusione immotivata della comunità Lgbt ebraica, il circolo Mario Mieli dedica un carro a chi si schiera contro Atreju, la kermesse di Fratelli d’Italia, organizzata da Gioventù Nazionale. Il messaggio, pur non essendo esplicito è chiaro: se non siete di sinistra o non avete una bandiera della Palestina meglio che restiate a casa. Non a caso sulla principale della macchina da festa del corteo, come annunciato da Mario Colamarino, portavoce dell’organizzazione (già menzionato per aver sostituito una serata dance al Muccaassassina con un comizio della Schlein), saranno apposte le sagome di Scurati, Bortone, Formigli, Litizzetto, Fazio, Gruber e Ranucci, con tanto di scritta «mai zitti, non ci silenzierete mai». Stavolta a irritarsi e ad alzare la voce, però, non sono solo i gay non di sinistra, perché essere omosessuale non dovrebbe avere colore politico, ma la stessa comunità Lgbt, che boccia, senza se e senza ma, l’atteggiamento avuto nei confronti dei fratelli e sorelle di Gerusalemme.

 

 

«Vanno distinte le persone – sottolinea Fabrizio Marrazzo, segretario e fondatore del Partito Gay – da quelle che sono le azioni di governo. Pensare che attivisti solo perché portano una Stella di David non debbano andare al Pride o peggio ancora debbano nascondersi è un messaggio negativo. Stiamo parlando, poi, degli stessi cittadini che erano in piazza contro il governo Netanyahu per la pace. Spero che questo divieto non sia formalizzato. Altrimenti si commetterebbe un errore gravissimo». Sulla politicizzazione dell’iniziativa, comunque, resta prudente, pur sottolineando come «a questo tipo di eventi ognuno deve essere libero di pensarla come vuole. Devono essere condannati solo coloro che non rispettano i diritti». Sulla mancata partecipazione di Keshet, l’associazione Lgbt ebraica, interviene pure Monica Cirinnà, ex deputata del Pd, passata alle cronache per la legge che introduce le Unioni civili, che difende chi promuove la storica rassegna capitolina: «La questione sicurezza non afferisce all’organizzazione del Pride. Chiunque parteciperà sarà tenuto in sicurezza solo dalle forze dell’ordine. Non vedo alcun pericolo. Se non sfileranno, comunque, sarà una grossa perdita. Le nostre battaglie devono andare oltre i confini tradizionali».

 

 

Su chi debba garantire l’incolumità dei partecipanti, invece, non si ritrova Paola Concia, sua ex collega di partito e attivista Lgbt: «In Germania la sicurezza in questo tipo di eventi viene garantita da chi organizza. Sono gli stessi promotori dei cortei a vigilare sul loro svolgimento e fare in modo che non ci sia alcuna discriminazione. Anzi, si fa di tutto per unire. Non a caso, a Colonia, turchi e greci, pur non avendo storicamente rapporti idilliaci tra loro, sfilano insieme. Perché al posto di esortare chi ha la Stella di David a non prendere parte al Pride romano non si è pensato a un carro dove mettere la bandiera di Israele vicina a quella della Palestina? Sarebbe stato un bel gesto di inclusione». Detto ciò, la dirigente dem è meravigliata del silenzio della politica rispetto a un fatto così eclatante: «Mi sarei aspettata che l’esclusione dei nostri fratelli e sorelle ebrei arrivasse in Parlamento. Non si è detto, invece, una parola, né c’è stata una posizione netta delle varie organizzazioni, che dovevano condannare, sin dal principio, chi solo pensava di escludere chi si è sempre prodigato per la cultura della pace e dell’integrazione». Sulla stessa linea d’onda Aurelio Mancuso, tra i fondatori dell’Arcigay, che già aveva sottolineato su queste colonne, come fosse «inammissibile che movimenti, che hanno come scopo quello di abbattere i muri e le diversità, non abbiano alzato un dito, pur essendosi svolte diverse conferenze per far conoscere il programma della manifestazione».

 

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