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Allarme antisemita, il Roma Pride senza ebrei: “Pericoloso per noi”

Edoardo Sirignano
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Da inclusione a esclusione è un attimo. Il Pride, quella che dovrebbe essere la manifestazione per eccellenza nel superare barriere o abbattere muri, a causa di un’eccessiva campagna di comunicazione filo-palestinese, rischia con l’emarginare o in tal caso ghettizzare. Mai parola più appropriata, considerando che stiamo parlando della comunità ebraica Lgbt, ovvero di quelle persone, che ogni anno si distinguono nei cortei per le loro bandiere arcobaleno con al centro la Stella di David. L’organizzazione ebraica queer, infatti, sceglie di non prendere parte alla rassegna più attesa per quanto concerne i diritti, a causa dei crescenti timori di aggressioni, dovuti al clima d’odio sviluppatosi intorno alla sua partecipazione. A spiegarlo una dettagliata nota di Keshet Italia, dove vengono spiegate le ragioni di una decisione meditata.

 

 

«Un’aria, non del tutto serena – spiega il presidente dell’associazione Raffaele Sabbadini – si era iniziata a respirare già dal momento in cui sono state realizzate le prime piattaforme Pride. La situazione, poi, è esplosa col caso Bergamo. Tanto è che lo stesso primo cittadino del comune lombardo Giorgio Gori decise di togliere il patrocinio a un’iniziativa, in seguito a una serie di messaggi, doveva veniva appunto esplicitata l’impossibilità di portare all’interno della sfilata bandiere di Israele o simboli che potessero ricondurre alla nostra cultura. Ciò era un antipasto di quello che poi abbiamo denunciato: ovvero che si faceva riferimento alla Stella di David. Il clima, col passare dei giorni, è diventato sempre più avvelenato, soprattutto a causa di voci su come la nostra associazione avesse preso parte ai vari eventi sparsi in giro per l’Italia. Il Roma Pride, sulla propria pagina, ci ha detto, quindi, che c’erano delle cose di fondo da chiarire e che oltre a qualche semplice contestazione, ci sarebbe stato anche il rischio di qualcosa di più. Pur non essendoci stato mai vietato nulla e intendo sottolinearlo da parte di movimenti od organizzazioni, abbiamo deciso, pur denunciandolo a gran voce, di restare a casa. Non possiamo mettere in pericolo la salute e l’incolumità degli appartenenti alla nostra comunità o dei nostri sostenitori».

 

 

Per l’attivista, pertanto, ci sarebbero, stati dei «gruppi organizzati che avrebbero confuso un simbolo religioso, come la croce per i cattolici, con la bandiera di uno Stato, come poteva essere quella degli Stati Uniti o della Germania, anche se c’era una Rainbow sotto». Un fatto che conferma la propagazione di una nuova cultura antisemita, soprattutto tra le nuove generazioni: «Non voglio prendermela – sottolinea Sabbadini - con una specifica parte politica, ma posso tranquillamente dire che viene utilizzata la situazione mediorientale per ribattere contro chi è invece in lotta solo per i propri diritti, come tutti gli altri». L’associazione Keshet, infatti, da sempre partecipa a ogni attività tesa a combattere le discriminazioni. «Da Roma, passando per Milano, fino a Torino, negli anni passati, siamo sempre stati accolti nel migliore dei modi. Anzi, c’era interesse intorno alle nostre iniziative. Negli ultimi mesi, tutto è cambiato. I social, favorendo la diffusione di una sorta di caccia a quest’ipotetico “carro d’Israele”, che non c’è mai stato, ha generato una pagina buia, a cui spero si possa mettere presto fine».

 

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