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Europee, così Xi Jinping e Putin falsano il voto in Italia: spionaggio, hacker e dati

Francesca Musacchio

Elezioni del Parlamento Europeo e presidenza italiana del G7. Sono alcuni eventi sui quali si concentra l’attenzione dell’intelligence per contrastare campagne in danno del nostro Paese da parte di Russia e Cina. Un allarme, quello sulle interferenze nel voto, raccolto anche dal Gruppo di Lavoro G7 sulla sicurezza cibernetica che si è incontrato a maggio e dal ministero dell’Interno. Una minaccia ibrida, portata avanti attraverso vari strumenti, dalle campagne di disinformazione, passando per lo spionaggio, le attività cyber e le infiltrazione nel mondo universitario. 

E se sul versante della minaccia informatica nel 2023 la Cina, secondo i nostri servizi segreti, «si è confermata come uno degli attori principali» caratterizzato da «elevata sofisticazione e da un alto livello di maturità operativa». La Russia, in questa fase storica, è attivissima a causa della guerra in Ucraina. Mosca, infatti, è impegnata in numerose «campagne multivettoriali» a danno dell’Italia e dell’Occidente. 

 

La disinformazione e la capacità di infiltrazione dei due Paesi perseguono da una parte l’obiettivo di condizionare l’opinione pubblica rispetto alla percezione del proprio Stato e dall’altra, attraverso ad esempio il cyber espionage, esfiltrazione dati e informazioni di varia natura. E poi c’è la tecnica del soft power, definita come la capacità di influenzare le preferenze attraverso l'attrazione o la persuasione. 

Per quanto riguarda il dominio dell’informazione, per i nostri 007 «Pechino è in grado di condurre operazioni informative tese a influenzare la percezione dell’opinione pubblica all’estero in modo favorevole agli interessi della Repubblica Popolare Cinese, accreditandosi come partner affidabile e di rilievo e ricorrendo anche a noti influencer per promuovere un’immagine positiva del Paese».

Secondo China index 2022, l’Italia è al 22esimo posto a livello mondiale per la sua esposizione all’influenza cinese, soprattutto in campo accademico, un fattore che pesa per il 47% contro il 34% della media europea. Il riferimento è agli istituti all’interno delle università che promuovono lo studio della lingua e della cultura cinese finanziati dal Partito Comunista cinese, attraverso il ministero dell’Istruzione e sotto l’egida dell’intelligence di Pechino, che rappresentano uno degli strumenti di soft power più insidiosi e difficili da individuare. 

Per la nostra intelligence, infatti, «i principali vettori della minaccia ibrida impiegati fanno affidamento anche su alcuni elementi della diaspora cinese nell’Unione Europea», «utilizzati per raccogliere informazioni di pregio; mettere in atto azioni di pressione economica; penetrare e interferire all’interno del mondo accademico e della ricerca; condurre operazioni cibernetiche ostili con maggiore efficacia; manipolare l’informazione per finalità di propaganda e per orientare, in modo favorevole alla Cina, l’opinione pubblica europea».

 

Le attività degli Istituti Confucio nelle università hanno già creato allarme in alcuni paesi europei al punto che tra il 2020 e il 2023, in Danimarca, Norvegia, Finlandia e Svezia sono stati chiusi, in alcuni casi a causa della propaganda e della censura dei docenti cinesi. Ma nel resto d’Europa e in Italia, dove se ne contano almeno venti all’interno degli atenei, esistono decine di istituti Confucio. Per Euractiv, la cooperazione tra le università sarebbe problematica è spesso sbilanciata a favore della Cina, minando la libertà accademica e rischiando di «catturare il potenziale scientifico e tecnico» di una nazione, a volte in aree sensibili. 

Per quanto riguarda la Russia, invece, può vantare legami profondi con il nostro Paese che risalgono indietro nel tempo, addirittura ai primi decenni del Diciannovesimo secolo con personaggi come Vittorio Emanuele III e Benito Mussolini. Nel 2021 Massimiliano Di Pasquale e Luigi Sergio Germani, quest’ultimo direttore scientifico dell’istituto Gino Germani, hanno pubblicato uno studio su «L’influenza russa sulla cultura, sul mondo accademico e sui think tank italiani». Lo studio distingue tra due diversi tipi di intellettuali ed esperti di politica estera filorussi in Italia: i neo-eurasisti e i Russlandversteher (che letteralmente significa «colui che comprende la Russia», o più colloquialmente, «simpatizzante»), che dopo 45 anni di egemonia culturale del PCI, oggi tentano di influenzare l’orientamento dell’opinione pubblica in favore di Mosca. 

In un passaggio dello studio si legge: «L'antiamericanismo tra le élite politiche italiane e tra un pubblico più ampio fu rafforzato dalle misure attive del KGB. Questi atteggiamenti, sopravvissuti al crollo dell'Unione Sovietica, hanno continuato a persistere. All'inizio degli anni '90, diversi intellettuali italiani della destra radicale, che iniziarono a collaborare intensamente con gli ultranazionalisti russi, credevano di poter sfruttare il vuoto ideologico emerso dopo il crollo del comunismo per espandere l'influenza del neo-eurasismo. 

A quel tempo non hanno avuto successo. Eppure vent'anni dopo, dopo l'ascesa delle forze nazional-populiste in Italia, il neo-eurasismo e orientamenti filo-russi e anti-occidentali radicali iniziarono a entrare nel mainstream dei dibattiti intellettuali e politici italiani».

E con l’aiuto della rete, poi, anche nel 2023 «gli apparati di informazione legati al Cremlino hanno continuato a operare all’interno del dominio dell’informazione - scrive l’intelligence italiana - per minare la coesione europea e la fiducia dei cittadini nelle Istituzioni sia nazionali che dell’Unione Europea e dell’Alleanza Atlantica».