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Chico Forti, lo zio non digerisce il titolo del Fatto: "Peggio di una coltellata"

Luca De Lellis
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“Ventisei anni in cui abbiamo sofferto le pene dell’inferno”. Con queste parole Gianni Forti manifesta tutta la sua amarezza per una vicenda giudiziaria, quella di suo nipote, che ha creato una crepa insanabile nell’esistenza della sua famiglia. Gianni è lo zio di Chico, l’uomo che ha scontato 24 anni di carcere negli Stati Uniti dopo la condanna all’ergastolo sentenziata dal giudice americano il 15 giugno 2000 per l’omicidio a Miami del 42enne Dale Pike. Da quando Enrico Forti, per gli amici “Chico”, è stato rimpatriato in Italia con l’accoglienza all’aeroporto di Pratica di Mare di Giorgia Meloni, il caso da giudiziario si è trasformato rapidamente in politico. Il Fatto Quotidiano stamane è uscito con un titolo in prima pagina parecchio pesante e provocatorio, «Benvenuto Assassino», atto a sottolineare in maniera critica proprio la mossa del Premier di spingere per riportarlo in Italia. Intervenuto in collegamento con lo studio di Zona Bianca, programma di Rete 4 condotto da Giuseppe Brindisi, lo zio Gianni ha definito il titolo del giornale diretto da Marco Travaglio “peggio di una coltellata”. 

 

 

Il dispiacere di Gianni Forti per tutte le polemiche che hanno seguito il rientro in patria di Chico è enorme, anche perché, come afferma anche lui “questo caso da giudiziario è diventato politico, ed è stato usato in un modo o nell’altro sfruttando una situazione che per la nostra famiglia è una questione invece umanitaria e di coscienza”. Infatti, l’appoggio dei cari alla causa di Chico non è mai mancato, visto che nessuno ha mai dubitato della sua innocenza. “Un giudice italiano vicino al Movimento 5 Stelle, Ferdinando Imposimato, nel 2009, dopo aver verificato tutto il caso nella sua complessità, comprese prove a suo carico e dichiarazioni dei testimoni, ha esplicitamente detto che la procura americana durante quell’indagine e quel processo ha agito in modo arbitrario, manipolando testimoni e documenti”.

 

 

Gianni Forti è una furia, e si scaglia contro la logica di attaccare il nipote solo per fazioni politiche: “Ma perché devo ancora sentire che Chico Forti è stato un bieco assassino che ha freddato con una pistola quel povero ragazzo”. E poi ancora: “Ma quale assassino? Qualcuno ha mai detto che Chico non ha mai avuto un precedente penale? Che era un ragazzo sportivo e leale con una famiglia”. Poi il conduttore e lo zio Gianni incastrano la presunta incoerenza del Fatto Quotidiano, che nel 2020, quando l’allora ministro degli Esteri Luigi Di Maio appoggiava l’innocenza di Chico Forti, titolava in tutt’altro tono, “con espressioni di giubilo, ricordando non che fosse un assassino ma che era un ex produttore televisivo”. La politica è un carrarmato in questo senso: quando una vita intralcia la sua strada, assume contorni particolari e si aggioga alle sue dinamiche. Una vita che ora sconterà il resto della sua pena nel carcere di Montorio a Verona, dopo una breve tappa a Roma, in quel di Rebibbia.

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