indagini chiuse
Caso Cecchettin, Turetta rischia l'ergastolo: le mappe, il nastro adesivo, le ricerche sul web
È un carico accusatorio molto pesante quello che la procura di Venezia contesta nell’avviso di chiusura delle indagini a Filippo Turetta, reo confesso dell’omicidio dell’ex fidanzata Giulia Cecchettin. Mentre il ’rumore' esploso nelle piazze e nelle coscienze in nome di Giulia non si è mai spento, a sei mesi dalla notte dell’11 novembre quando venne ammazzata tra le fabbriche e le strade vuote di Fossò, pochi chilometri lontano dalla sua casa di Vigonovo, gli inquirenti tirano una linea e sciolgono alcuni nodi giuridici. E decidono che sì, Turetta aveva premeditato di ucciderla come dimostrerebbero, spiega il procuratore Bruno Cherchi, «la ricerca dei luoghi tramite internet, l’acquisto del materiale necessario per immobilizzare la vittima, la cartina geografica, l’atto di silenziare la persona offesa mettendole del nastro adesivo per non farla urlare, serrare i polsi e le gambe della ragazza».
Aggiungono l’aggravante della crudeltà, da intendersi come la giurisprudenza la intende: aver inflitto «sofferenze gratuite e non collegabili al normale processo di causazione della morte». In questo caso con venti coltellate, le prime nel parcheggio davanti alla villetta dove viveva quando Turetta l’aggredì a bordo della sua Fiat Punto nera. Qui per diverse ore sono rimaste sull’asfalto le tracce di sangue della ragazza ed è stato trovato un coltello da cucina. Poi, dopo averla immobilizzata con lo scotch, questa è la ricostruzione della Procura, l’ha spinta in auto, superando la sua resistenza, ha raggiunto in pochi minuti Fossò e l’ha assalita di nuovo, finendola. Da lì è iniziata la fuga che ha tenuto l’Italia col fiato sospeso per una settimana. Dopo il delitto Turetta era scappato verso il Friuli e, abbandonato il corpo in un dirupo vicino al lago di Barcis, era fuggito verso l’Austria e poi in direzione Germania, dov’è stato fermato dalla polizia tedesca, vicino a Lipsia, nella mattinata del 19 novembre. «L’ho uccisa io» ha detto subito Filippo a chi l’ha fermato, una confessione non utilizzabile nel processo mentre lo è quella messa a verbale nel carcere Montorio di Verona, dov’è detenuto.
Il contesto in cui il delitto è maturato sarebbe stato quello dello stalking, come suggerito alla Procura da chat e testimonianze che riferiscono delle insistenze morbose del giovane nei confronti dell’ex compagna dopo che la loro storia era finita. Omicidio aggravato da premeditazione, crudeltà, efferatezza, sequestro di persona, porto d’armi e occultamento di cadavere, è il robusto capo d’imputazione da cui dovrà difendersi davanti alla Corte d’Assise. Non c’è spazio per il rito abbreviato, che avrebbe comportato uno sconto di un terzo della pena, perchè i reati sono così gravi da ipotizzare l’ergastolo. Si chiude così la prima parte ’giudiziaria' di quella che nel frattempo è diventata la storia di Giulia e non, come spesso accade nella narrazione mediatica, quella del suo presunto omicida, sul quale si sono spente le luci. La storia di Giulia, di suo padre Gino e della sorella Elena che mai come prima hanno portato l’attenzione sul tema dei femminicidi con i loro appelli a un cambiamento culturale profondo.