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Passaportopoli e battesimi fake: così costruivano i falsi connazionali

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Rita Cavallaro
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Dall'avo rubato ai falsi battesimi, per inventare un albero genealogico in cui i discendenti sono magicamente quasi tutte femmine, in modo da far perdere le tracce del cognome italiano e ottenere la cittadinanza per discendenza. È il sistema al centro di quello che si sta rivelando un business, che potrebbe avere sullo sfondo organizzazioni criminali, e che viene messo in atto soprattutto in Sudamerica, dove ogni giorno i consolati italiani sfornano centinaia di passaporti a neo cittadini per diritto di sangue. Uno scandalo, portato alla luce dalla denuncia del deputato di Fratelli d'Italia, Andrea Di Giuseppe, e che si sta allargando, perché è il fulcro di un’inchiesta della Procura di Roma ma anche oggetto di controlli a pioggia della Farnesina. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, infatti, ha disposto ispezioni mirate nelle sedi diplomatiche, per approfondire le pratiche lavorate dai funzionari e i documenti presentati dai richiedenti.

 

 

Perfino la Curia ha avviato accertamenti sugli atti di battesimo e matrimonio, richiesti per la certificazione degli avi.
Sotto la lente il consolato italiano a Caracas, dove gli ispettori del ministero, insieme a carabinieri e finanzieri, avrebbero concentrato la loro attenzione su 23 cittadinanze concesse, tra cui nove a uno stesso nucleo familiare, con a capo un magnate libanese-venezuelano vicino al regime di Maduro e con legami con il mondo islamico. Il sospetto è che ci sia una compravendita dei documenti necessari alla ricostruzione della discendenza per l'ottenimento del passaporto. La truffa avrebbe origine con il furto dell’identità, nell’anagrafe di alcuni piccoli comuni del centro Italia, di un avo nato a metà Ottocento e partito alla volta dell’America Latina.

 

 

Lì il matrimonio e la nascita di un figlio maschio. A quel punto una discendenza di figlie femmine, in modo da giustificare la totale perdita del cognome nel corso delle generazioni. Non solo documenti d’identità, ma pure atti di battesimo richiesti alla Curia competente per il Comune di nascita dell’avo. A Marciana, uno dei luoghi dell'Elba da dove proverrebbe il capostipite dei venezuelani, l’inquietante scoperta che la richiesta non era arrivata da Caracas, ma da una donna cilena che sostiene di essere la pronipote. Una circostanza che getta l’ombra sull'inquietante ipotesi che, nei consolati in Sudamerica, molti neo italiani possano aver utilizzato lo stesso avo, senza che con il trisavolo esista alcun legame di parentela.

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