accusata dell'omicidio della figlia

Alessia Pifferi, l'avvocato: "Non ha mai pensato alle conseguenze"

«Non c’è stata volontarietà: se avesse voluto ucciderla l’avrebbe fatta sparire». Lo sostiene Alessia Pontenani, avvocato che difende Alessia Pifferi accusata dell’omicidio aggravato della figlia Diana di soli 18 mesi, morta di stenti. «Quel maledetto 14 luglio (del 2022, ndr), lei parte con un piccolo trolley, non con due valigie enorme» e lascia sola la bambina per raggiungere il suo compagno in provincia di Bergamo. «Le lascia da mangiare e da bere, la lascia nel suo lettino senza lenzuola, lascia le finestre aperte; poi non sappiamo cosa sia successo, se i piani di questa ragazza madre sono andati in frantumi» aggiunge nel suo intervento in aula a Milano. Una donna la cui «incuria» e «incapacità di accudire» la bimba viene più volte ricordata dal difensore che invoca l’infermità per la sua assistita che si lascia andare a un pianto silenzioso.

 

 

«Quel corpicino aveva bisogno di amore e protezione che lei non è riuscita a darle» aggiunge. Ritorna una settimana dopo aver abbandonato la piccola Diana e «non inscena la sparizione della bambina o il rapimento. Avrebbe potuto metterla in un sacchetto della spesa e farla sparire e non se ne sarebbe accorto nessuno perché questa bambina era un fantasma» che nessuno ha mai sentito piangere. Se l’imputata ha commesso un reato «è quello di abbandono di minore». Ad Alessia Pifferi vanno concesse le attenuanti generiche «perché non ha mai preso in giro nessuno», lei «non ha mai pensato alle conseguenze delle sue azioni tanto che ha dato l’allarme. Avesse premeditato questo delitto orribile non saremmo qui, ma a cercare una bambina scomparsa. Esiste un reato nel nostro codice che è l’abbandono di minore: è il nostro caso, è il caso di Diana».

 

 

L’imputata «lo compie la prima volta che va al supermercato senza la figlia, nel primo weekend in cui la lascia sola a casa, nel secondo, nell’ultima maledetta settimana. Sperava, credeva in cuor suo che non sarebbe successo nulla». Diana Pifferi «era una donna abbandonata a se stessa. Capisco il dolore della famiglia, forse giustificato dal timore di essere chiamati in causa con una forma di corresponsabilità; e forse la corresponsabilità ce l’ha chi l’ha sentita piangere e non è intervenuto o chi per una settimana non si è preoccupato di fosse questa bambina; tutti sono responsabili» incalza l’avvocata che chiede l’assoluzione e lascia nelle mani dei giudici «Alessia e Diana. È ora che entrambe queste persone sfortunate abbiamo davvero giustizia».