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Passaportopoli, 7mila cittadinanze concesse e spunta il magnate libanese in affari con Maduro

Rita Cavallaro
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 Nello scandalo Passaportopoli in Venezuela spunta un magnate libanese, legato al regime di Maduro e con parenti vicini a Hezbollah. È il nuovo cittadino italiano Majed Khalil Mazjoub, l’uomo d’affari libanese-venezuelano di 54 anni che il 15 marzo scorso ha chiesto, e ottenuto insieme ad altri otto familiari, il riconoscimento della cittadinanza italiana per discendenza. Certificata in un modulo di ricostruzione dell’albero genealogico, che fissa il diritto di sangue nell’avo Giuseppe Panfilio Miliani, un italiano nato il primo giugno 1850 a Poggio di Marciana, un paesino dell’Isola d'Elba dal quale l’uomo sarebbe partito poi alla volta di Caracas, dove il 18 luglio 1884 avrebbe sposato una venezuelana. Il loro figlio maschio avrebbe avuto solo figlie femmine e, man mano, nelle generazioni il cognome si è perso. Per questo nella famiglia Khalil Mazjoub non c’è traccia del nostro Paese. Ma per l’ufficio Servizi Demografici (Anagrafe, stato civile e cittadinanza) del consolato italiano a Caracas, il libanese ha il sangue italico, per cui ha diritto, con tutto il suo nucleo familiare, al passaporto.

 

Ora, però, su quelle pratiche sono in corso approfondimenti, a seguito di indagini per una presunta compravendita di cittadinanze. Gli ispettori della Farnesina, che hanno effettuato un controllo il 12 aprile scorso al Consolato accompagnati da carabinieri e finanzieri, tra le oltre settemila richieste accolte negli ultimi quattro mesi hanno stretto il cerchio su 23 pratiche lavorate. Il sospetto, ancora da accertare, è che quelle discendenze non corrispondano al vero, dietro le quali potrebbe anche celarsi una sottrazione d’identità di un uomo morto a metà ’800, grazie al quale fissare la stessa discendenza. Nei 23 fascicoli al setaccio degli inquirenti, ci sono i nove della cittadinanza alla famiglia del magnate libanese. Una figura controversa, quella di Majeb, al quale, nel giugno del 2004 il Dipartimento di Stato Usa aveva sospeso il visto, a causa della partecipazione, attraverso una società di sua proprietà, alla «sistematizzazione della sezione di intelligence dell’esercito venezuelano», scriveva il Miami Herald.

 

Lunga la lista delle sue aziende, anche in paradisi fiscali, che hanno permesso al libanese di accumulare una fortuna sotto la protezione della rivoluzione, all’ombra dei regimi di Chávez e Maduro. Insieme a suo fratello Khaled, direttore delle comunicazioni della moschea Sheikh Ibrahim Bin Abdulaziz di Caracas e ritenuto un fervente islamista (pure lei neo cittadino italiano), avrebbe goduto di molti accordi commerciali anche con Evo Morales in Bolivia, come emerge da un’indagine del 2017 condotta da un senatore boliviano. I Khalil Mazjoub, inoltre, hanno una parentela stretta con l’ex ministro delle finanze libanese Ali Hassan Khalil, sanzionato in passato dall’Ufficio per il controllo dei beni esteri presso il Dipartimento del Tesoro Usa a causa del suo «sostegno materiale a Hezbollah» e per altre accuse di corruzione. Tante ombre attorno al magnate, ma nessuna pendenza giudiziaria. Perché l’imprenditore ci tiene alla propria onorabilità, tanto da aver ingaggiato un braccio di ferro per diffamazione, finito in un accordo economico, con Fox News. Il network televisivo aveva sostenuto in un servizio che il magnate e altri venezuelani avessero contribuito a truccare le presidenziali del 2020 contro Donald Trump.

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