L'analisi
Israele ha superato il suo stress test e l'Iran lo sa, l'analisi del generale Tricarico
Ove qualcuno avesse ancora dubbi sull’impenetrabilità dello spazio aereo israeliano, con il massiccio attacco del 13 aprile condotto con più disparati ordigni, da più direzioni ed in contemporanea, viene messa una pietra tombale sulle aspettativa di chi in futuro si avventurasse in un aggressione ad Israele dal cielo. Si è trattato di un vero e proprio stress test del sistema complessivo di difesa i cui esiti hanno non certo meravigliato ma certamente riscosso l’ammirazione ed il plauso perfino degli esperti della materia. Un attacco di tali caratteristiche e dimensioni, portato verso qualunque altro paese al mondo, anche il più progredito, non avrebbe comportato una risposta così convincente ed efficace.
L’auspicio è che il sostanziale fallimento dell’aggressione iraniana plachi il desiderio di vendetta di Teheran (questo pare al momento l’orientamento iraniano) ed allo stesso tempo non inneschi reazioni da parte di Israele che nelle performances della sua aeronautica dovrebbe cogliere il senso del rotondo successo. È d’altro canto innegabile che si sia trattato di un atto molto grave, di un atto che comunque ha segnato un cambio di passo in un conflitto condotto finora da parte dell’Iran con l’esclusivo ricorso ai suoi numerosi affiliati sparsi nell’area. In altre parole, nessuno può escludere che le potenzialità deflagratorie della vendetta iraniana si siano esaurite con la grandinata di missili della notte del 13 aprile. Quel che è certo è che gli spazi aerei sopra Israele sono letteralmente blindati, che il sistema integrato di difesa funziona egregiamente e che quindi altre debbono essere le strategie di chi non si dia per inteso ed intenda continuare a far guerra allo Stato ebraico.
Occorrerà attendere le reazioni dell’una parte e dell’altra, nell’auspicio mai fin troppo forte espresso che la cosiddetta comunità internazionale eserciti un ruolo più attivo, o meglio, più muscolare nei confronti di chi - chiunquenon dia segni di genuine buone intenzioni volte a promuovere un allentamento della tensione e le successive condizioni per un negoziato. A dire il vero, contrariamente a quanto accaduto nel teatro russo ucraino, la diplomazia in medio oriente ha lavorato sodo, senza sosta, a cominciare da quella degli Stati Uniti accompagnati da Egitto, Qatar, Arabia Saudita ed altri attori regionali volenterosi. Tentativi diplomatici che tuttavia hanno confermato che la deterrenza è uno strumento ormai malfunzionante, che gli argomenti di convincimento debbono essere più mirati ed a volte più raffinati e certamente messi in campo con maggiore perentorietà. A cominciare naturalmente da Israele; il punto segnato a suo favore con la salvaguardia dei suoi confini -quella cui eravamo abituati prima del 7 ottobre- deve poter rappresentare un punto terminale, una risposta appagante per la barbara aggressione di Hamas. Israele ne uscirebbe insomma a testa alta, riporterebbe a casa i cittadini rapiti ancora in vita, e sopratutto potrebbe cogliere ciò che ancora resta delle prospettive strategiche nell’area, ad iniziare dal riavvio del processo di distensione con i paesi arabi una volta ostili, e la cui sopportazione è stata messa a fin troppo dura prova.