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Roma, blindato il Ghetto per l’odio contro gli ebrei. “Ora abbiamo paura”

Maria Elena Marsico

Arrivata l’ora di pranzo le vie del quartiere ebraico sembrano essere troppo strette per la folla di turisti in cerca di un posto dove mangiare cucina kosher. Americani, tedeschi, francesi. È «tutto come sempre» al ghetto di Roma. In tanti ripetono che non c’è alcun timore, almeno non più di due giorni fa. E il livello di sicurezza, il giorno dopo l’attacco iraniano a Israele, secondo i residenti non è cambiato, «è sempre stato al massimo». «Qui è un’isola felice» spiega Benedetto Sacerdoti, rappresentante per l'Italia del Forum delle famiglie degli ostaggi. Questo perché è il luogo «più presidiato dopo San Pietro, probabilmente, grazie al lavoro delle forze dell'ordine». E per questa ragione nessuno sente di aver paura tra le vie del portico d’Ottavia.

 

 

Non la pensa allo stesso modo Noah, una turista israeliana in vacanza a Roma. Racconta di non sentirsi al sicuro nella Capitale, «ma nemmeno a Milano», anche a causa «delle manifestazioni per la Palestina», dice. Una motivazione che l’ha portata a non andare al Colosseo dopo aver visto il percorso del corteo di sabato che includeva un passaggio nei pressi dell’Anfiteatro Flavio. Affrontando il tema, il presidente dell'Unione giovani ebrei d'Italia (Ugei), Luca Spizzichino, parla di «una recrudescenza dell'antisemitismo che dal 7 ottobre si è manifestata a partire dalle università». «So che sembra strano ma in questo momento avrei meno timore a Tel Aviv», continua Noah che in Italia sente di essere trattata come “colpevole” perché «il mondo non è dalla parte d’Israele». Dopo l'attacco iraniano ammette di essere ancora più spaventata, «non sono uscita dall'albergo sia perché volevo rimanere in contatto con la mia famiglia sia perché avevo paura di essere un bersaglio». Sabato sera i pensieri della giovane israeliana erano rivolti ai suoi cari. Preoccupazione, per i propri parenti e amici, condivisa anche dai romani al ghetto. «Abbiamo passato la notte in bianco», racconta una commerciante che è rimasta per diverse ore in contatto con sua sorella mentre si trovava nel bunker.

 

 

Un uomo seduto a un tavolino di un ristorante, con la kippah sul capo, riporta il racconto di un suo amico a Gerusalemme che ha documentato almeno «trenta esplosioni» intorno alla città. Ma l’ansia è solo per loro, per chi vive in Israele. «Qui non abbiamo paura», ribadiscono. Per Spizzichino, la risposta dell'Iran era preannunciata, «ma non sapevamo come, quando e dove avrebbero attaccato», evidenzia. Per lui, come per tanti altri, non c’era il timore di un nuovo 7 ottobre, «ma si sta aprendo un nuovo capitolo che non sai come si evolverà. Non si tratta di milizie come Hezbollah, di Hamas o degli Houthi. È uno Stato con un esercito vero e proprio», aggiunge il presidente dell’Ugei.

 

 

E se l’allerta è massima da tempo al ghetto ebraico, nel resto della città è in aumento. Proprio ieri mattina, il giorno dopo la risposta iraniana a Israele, era prevista una marcia di 30 minuti a villa Borghese organizzata dal Forum delle famiglie degli ostaggi. «Alle 7 ci hanno avvisato che per questioni di sicurezza non potevamo più farla», spiega il rappresentante italiano dell’associazione, Sacerdoti, preoccupato del fatto che ci siano ancora persone in mano ad Hamas dopo sei mesi. Per questa ragione, per chiedere il rilascio degli ostaggi, quelli che dovevano essere i partecipanti alla marcia – tra cui parenti e amici delle persone rapite - hanno realizzato un video durante un flashmob nel quartiere ebraico.