Schiavone, la resa di Sandokan. L'ultimo dei casalesi si pente e la Camorra ha paura
Francesco Schiavone, alias Sandokan, ha deciso di collaborare con la giustizia dopo 26 anni di carcere duro. Era detenuto a L’Aquila, nel reparto di massima sicurezza in regime di carcere duro, il boss dei Casalesi oggi 70enne. Secondo quanto si apprende, dalla cella ha fatto pervenire una richiesta di incontro ai magistrati della Direzione Nazionale Antimafia, oggi guidata dal procuratore Giovanni Melillo, per avviare i primi colloqui per la collaborazione con la giustizia. Nel 2018 e nel 2021, si erano già pentiti altri due figli di Sandokan: prima Nicola, poi Walter Schiavone. La notizia è stata accolta in due modi: chi festeggia e chi è scettico. Roberto Saviano rientra sicuramente in quest’ultima categoria. Su X l’autore di «Gomorra» ha scritto: «Sarà davvero così? Collaborerà dando informazioni importanti o farà come i figli e la moglie (e altri ex capi) che ad oggi hanno detto molto poco? Conscio della debolezza dello Stato alla ricerca solo di poter comunicare un pentimento, gli basterà dare qualche prova di omicidio, qualche tangente ed evitarsi l’ergastolo?». Si perché il timore di molti è che la mossa dell’ex boss sia solo un modo per evitare l’ergastolo ostativo che non gli permetterebbe di uscire dal carcere anche dopo i 30 anni di reclusione.
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Ad avvalorare questa tesi c’è la tempistica della resa arrivata pochi mesi prima della scarcerazione del figlio Emanuele Schiavone, che dovrebbe tornare in libertà per fine pena entro l’estate. Per il sottosegretario Delmastro «è una testimonianza di quanto questo strumento (pentimento, ndr.) sia un pilastro del sistema penitenziario e della giustizia e un’ulteriore riprova della necessità di difenderlo dagli attacchi. Il carcere duro funziona: non dobbiamo mai perdere la speranza di sconfiggere la mafia». Un entusiasmo bipartisan. Dal Pd Sandro Ruotolo fa sapere: «Il suo pentimento potrà aiutare a ricostruire i momenti cruciali, come il passaggio dalla camorra di Casal di Principe di Antonio Bardellino». Il primo arresto da latitante di Sandokan avvenne in Francia, a Nizza, nel 1989, quando Schiavone era già ritenuto ai vertici dei Casalesi insieme a Iovine e Bidognetti. Scarcerato per decorrenza dei termini dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere in attesa dell’estradizione, Sandokan riprese la guida del clan dall’estero. Tornato in Italia, dopo un’assoluzione scontò un residuo di pena di appena 3 mesi di reclusione nel 1992, prima di scomparire dai radar dopo l’avvio della collaborazione da parte di suo cugino Carmine Schiavone, che si pentì nel 1993. La cattura di Francesco Schiavone è avvenuta l’11 luglio 1998, quando il boss dei Casalesi fu scovato in un bunker a Casal di Principe, sua città di origine.
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Al momento, il contenuto dei primi verbali illustrativi è secretato. Ma, come accade solitamente per i collaboratori di giustizia, nei primi colloqui si confessano i delitti eccellenti. Tra le rivelazioni di Schiavone, potrebbero esserci conferme sulla sua scalata ai vertici del clan dei Casalesi e sull’omicidio di Antonio Bardellino, ucciso in Brasile nel 1988, delitto che gli permise di prendere il comando dell’organizzazione camorristica. Tra i segreti di Sandokan potrebbero esserci anche rapporti con la politica e con l’imprenditoria di Caserta e provincia.