inchiesta spioni
Dossier, Striano faceva la morale ai big della Finanza sotto indagine
Da segugio dell'Antimafia a spione della politica. È sulla parabola di Pasquale Striano che ruota l’inchiesta sul presunto dossieraggio, messo in atto principalmente contro il centrodestra, e sui mandanti che avrebbero inquinato momenti decisivi della vita democratica del Paese. Perché dossier come quello dell’operazione Quirinale, col suo nesso temporale tra gli accessi abusivi alla banche dati e la pubblicazione di esclusive della stampa di sinistra per minare la corsa al Colle prima di Silvio Berlusconi e poi di Maria Elisabetta Alberti Casellati, sono l'emblema del «verminaio» che si è annidato tra gli uffici della Direzione nazionale Antimafia di via Giulia e i server del Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza di via Boglione.
Dal centro di Roma alla periferia est, Striano faceva la spola, per tirare fuori dal cilindro informatico quasi 34mila documenti riservati, raccolti negli oltre 10mila accessi illegali ai sistemi analisti, che poi prendevano strade a volte sconosciute, altre così manifeste da diventare articoli giornalistici per eliminare i nemici politici. Impossibile, secondo gli inquirenti, che un luogotenente della Finanza, seppure all'Antimafia e quindi con la possibilità di mettere in atto procedure «borderline», possa aver compiuto da solo quel numero «mostruoso» di controlli illegali su politici e vip.
Si cercano, dunque, gli altri Striano, eventuali complici delle fughe di notizie e anche chi non ha supervisionato la regolarità di quegli accessi. Senza contare che il luogotenente non ci sta a passare per lo spione che ha agito illegalmente, visto che lui stesso si è più volte erto a paladino della legalità.
Nel 2015, da sindacalista del Cobar, in un articolo aveva puntato il dito contro il generale Michele Adinolfi, coinvolto nell'intercettazione con l'allora segretario del Pd Matteo Renzi, in cui il premier Enrico Letta veniva definito «un incapace» e si faceva riferimento alla crisi di governo che avrebbe portato alla caduta dell'Esecutivo. Per il finanziere, il coinvolgimento di «autorevoli rappresentanti di vertice del Corpo» in vicende giudiziarie «offusca l’immagine della GdF agli occhi del cittadino», tanto più che «le sorti giudiziarie del singolo rimangono ai margini rispetto alla moralità e allo squallore dei fatti che restano impressi nelle coscienze ed è indiscutibile che esse pesano come macigni in ciascuno di noi».
Se la moralità di Striano non è cambiata, allora non è escluso quello che sostiene, ovvero che agiva sulla base degli ordini. Motivo per il quale avrebbe coinvolto pezzi dell’Antimafia, che andrebbero oltre le indicazioni del pm Antonio Laudati. Tanto che le sue dichiarazioni, e il diario segreto in cui ha segnato le attività, hanno portato la Procura di Roma a trasferire il fascicolo ai colleghi umbri, competenti per l'operato della Magistratura capitolina. I quali ora si avvalgono, per le indagini, proprio al Nucleo di polizia valutaria di Roma, nei cui uffici Striano ha interrogato abusivamente il database. «Viene da noi per poter accedere alle banche dati, ma nessuno si sogna di dargli un qualsivoglia incarico», aveva garantito il comandante Vito Giordano al nuovo capo dell'Antimafia Giovanni Melillo, secondo il quale il presunto dossieraggio «per estensione e sistematicità mi pare difficilmente compatibile con la logica della devianza individuale». D’altronde Striano accedeva ai sistemi con la propria matricola. E in ogni squadra investigativa c'è un supervisore preposto a controllare. Pare difficile, quindi, una svista o l'omesso controllo su oltre 10mila accessi abusivi. A meno che non ci fosse un via libera dall'alto.