Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

Roma città delle donne: da Livia e Vittoria Colonna a Meloni e Raggi

Alessandra Zavatta
  • a
  • a
  • a

Le donne nell’Antica Roma erano nate per ubbidire. Perché inferiori, deboli e incostanti. Ne era convinto il filosofo Seneca e una lunga serie di giuristi ne giustificava la sottomissione agganciandosi alla Legge delle Dodici tavole. La realtà però era ben diversa. Livia, moglie di Ottaviano Augusto, gestiva il potere al pari del marito, si batté per i diritti delle donne in un’epoca in cui il gentil sesso era considerato «proprietà» dell’uomo, padre o marito che fosse. Incarnava appieno la figura della matrona, esempio di dedizione alla famiglia ma per nulla sottomessa. Dei suoi consigli il consorte, conosciuto nel 39 a.C., fece tesoro. E, pare, ci fosse la sua mano dietro a tante decisioni che fecero del regno di Augusto il più lungo periodo di pace dell’Urbe. Amata, ammirata, invidiata, Livia venne considerata (quasi) una Dea e nel Foro le venne dedicata una statua. Amore vero, spirituale però, correva anche tra Vittoria Colonna e Michelangelo Buonarroti. La marchesa e lo scultore s’incrociarono per caso nel 1536 in una Roma che il Rinascimento stava riportando agli antichi fasti. Lei aveva 44 anni, lui quasi sessanta. Divennero amici ma anche complici, lo scambio intellettuale ricco e frizzante, condividevano pensieri e passioni. In molti pensarono ad una relazione clandestina. L’amore restò platonico ma il legame fu saldissimo.

Vittoria, colta e intelligente, discendente di una delle più potenti famiglie romane, era per Michelangelo la donna ideale, l’anima gemella con cui potersi confidare in un mondo pieno di rivalità. A lei dedicò sonetti. Quando non si vedevano, si scrivevano. Un’infinità di lettere che testimoniano ancora oggi l’intenso rapporto tra l’artista toscano e la nobildonna romana che l’avvicinerà alla religione e (si dice) ispirerà quel «tocco» divino che Michelangelo lascerà nella Cappella Sistina. Trovare una donna con cui parlare alla pari fu una sorpresa che travolse il burbero pittore. Quattrocento anni dopo è stato sempre il legame intellettuale alla base del sodalizio tra la poetessa romana Elsa Morante e lo scrittore Alberto Moravia, romano pure lui, cresciuto in una famiglia benestante al Pinciano. «Testaccina» e di indole ribelle, per Elsa la solidarietà tra donne era strategica. Fu Natalia Ginzburg ad aiutarla a pubblicare nel 1948 il primo romanzo: «Menzogna e sortilegio». Trampolino di lancio per «L’isola di Arturo», che le regalò il Premio Strega nel ’57. La prima volta che il riconoscimento venne assegnato ad una donna. Come Vittoria Colonna fu musa per Michelangelo Buonarroti, Elsa Morante ricoprì il ruolo per il regista Pier Paolo Pasolini. Un’intesa intellettuale che la vide accanto a lui a collaborare alla sceneggiatura in molti dei film girati negli Anni Sessanta mentre la società cambiava con il vento della rivoluzione culturale.

Da sola aveva invece dovuto combattere per affermarsi Anna Magnani, nata all’ombra di Porta Pia. Da «voce» di Joan Craworfd come doppiatrice al successo come protagonista in «Roma Città Aperta» di Roberto Rossellini, all’Oscar come migliore attrice per «La rosa tatuata», al sodalizio (anche lei) con Pasolini che diede vita all’indimenticabile pellicola in bianco e nero girata tra i baraccati dell’Acquedotto Felice: «Mamma Roma». «Ho capito che non ero nata attrice. Avevo solo deciso di diventarlo nella culla, tra una lacrima di troppo e una carezza di meno», amava ripetere Nannarella, abbandonata dalla mamma e cresciuta dalla nonna e da cinque eclettiche zie a cui si ispirò per alcuni dei personaggi portati sul grande schermo.
Il Sessantotto catapultò sul palcoscenico di Roma tante donne imprenditrici.

Laura Biagiotti è stata una di loro: stilista famosa per l’abito-bambola, le linee che esaltano la femminilità e il vezzo di vivere in un castello del medioevo. I frutti della Rivoluzione li hanno raccolti due donne della politica, opposte come ideali e battaglie: Virginia Raggi, primo sindaco donna di Roma, e Giorgia Meloni, primo presidente del consiglio «in rosa». L’una grillina «da barricata» cresciuta all’Appio e salita sullo scranno più alto del Campidoglio nel 2016, l’altra a muovere i primi passi alla Garbatella, nel Fronte della Gioventù, per scalare tutti i gradini fino ad entrare, nel 2022, a Palazzo Chigi, nel cuore della città delle donne: Roma. 

Dai blog