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Meloni-Musk, in onda il fattore M. Il retroscena dell'intesa "strategica"

Luigi Bisignani
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Caro Direttore, questione di feeling. Tra Giorgia Meloni e Elon Musk è scoppiata un’intesa strategica che può portare lontano e mettere ko il Pd della spaesata Schlein e i Cinque Stelle del barricadero Conte. E non è certo un caso se persino Sergio Mattarella, con il suo aplomb quirinalizio, ha denunciato il pericolo di una dittatura digitale sotto i colpi dell’intelligenza artificiale.

Vero è che Musk ancora non ha investito nel Bel Paese ma complice l’ammirazione perla Premier, alla quale ha anche messo un "like" di solidarietà nell’"affaire" Giambruno, ora vorrebbe entrare nella partita delle tlc con la sua Starlink, l’internet satellitare. Giorgia, da par suo, ricambia, con qualche gustoso siparietto. È successo infatti che il magnate di SpaceX e Tesla, rientrato negli Stati Uniti, ha raccontato ai suoi collaboratori un aneddoto divertente: «A Roma, sotto un tendone trasparente che magnificava Castel Sant’Angelo - c’era un caldo soffocante - ero digiuno , così ho chiesto se potevo mangiare qualcosa. Giorgia mi ha letteralmente spinto dentro la sala dicendo che era già mezzogiorno e che non si poteva ritardare il dibattito».

 

«C’è qualcuno che ti ha messo in riga», ha chiosato un suo collaboratore. Ma come Elon, capo supremo di X, inviso dalle élite di sinistra e dalla generazione woke può oggi essere utile a Giorgia e viceversa? C’è un tema che ancora non è stato approfondito, ma che potrebbe essere la chiave per continuare la cavalcata politica della leader dei Fratelli d’Italia e lanciarla nello spazio digitale. Ad Atreju, infatti, non si è limitata a parlare di natalità e di crisi demografica. Il topos principe è stato X, il vecchio Twitter, il social network più utilizzato da 17 anni da giornalisti e politici, definito da Musk stesso, a novembre scorso, «in mano all’estrema sinistra». Ora il sistema degli algoritmi è cambiato, ma i preziosi dati e metadati degli utenti sono rimasti. Sono scomparse le moderazioni e X viene oggi orientato verso formazioni di centrodestra con un potenziale di fuoco neanche minimamente comparabile a quello attuale, dovuto all’introduzione dell’AI generativa Grok. Dunque, nella strategia Meloniana, X può supportare, digitalmente e del tutto lecitamente, FdI alle prossime elezioni. Un primo esperimento, è stato il lancio della candidatura repubblicana di Ron De Santis alle primarie per la presidenza Usa, avvenuto in diretta su Twitter, proprio accanto a Musk. Si è rivelato un fiasco, ma era, appunto, solo un test, fatto prima dell’introduzione di Grok.

 

Che Musk stesse preparando il social a diventare un’arma di precisione per la politica l’aveva intuito padre Paolo Benanti, che ne aveva già parlato chiaramente alla trasmissione "Codice" su Rai Uno. L’insidia di questa nuova frontiera nasce dal fatto che l’intelligenza artificiale generativa consente di condurre campagne di disinformazione su larga scala non solo incrociando miliardi di dati, commenti, foto, video, come avvenuto finora, bensì generando anche articoli di giornale, tweet, meme e foto non prodotti da essere umani, ma direttamente da questa macchina intelligente, sempre meglio oliata, che può arrivare persino a produrre finti dibattiti, nel totale malcontento di governi o partiti presi di mira. La platea dei potenziali elettori è immensa, di loro si conoscono gusti, debolezze, preferenze: si tratta di un patrimonio da 44 miliardi di dollari già garantito.

Utenti a cui far giungere, al momento giusto e con la precisione di un cecchino, il messaggio "targetizzato" per orientarne le scelte. Ogni candidato politico può quindi diventare un bersaglio da attaccare o da potenziare, a seconda dei casi, oggi anche tramite la diffusione di deep fake. Tanto che Microsoft, Google, televisioni e governi stanno creando in fretta e furia standard e watermark (filigrane digitali come quelle fisiche che si trovano nelle banconote) che identifichino i contenuti generati da AI. Sebbene Musk, in un incontro privato nel suo soggiorno a Roma, abbia sottolineato quanto «sia difficile oggi dire cose intelligenti sull’AI perché, anche mentre stiamo parlando, tutto è in evoluzione». Ha ragione. Tutto dimostra che dobbiamo dimenticare come è stata concepita fino ad oggi la democrazia e il fatto che un altro gigante del web, Mark Zuckerberg, in questo caso orientato a sinistra, stia tentando di mettere sotto scacco Musk con un nuovo social, Threads simile a X, ma con un potenziale ben superiore, avendo la possibilità di sommare la forza di fuoco di Facebook, Instagram e Whatsapp - ci deve far riflettere. E parafrasando l’attore Humphrey Bogart, non si potrà più dire «è la democrazia bellezza» ma «è l’intelligenza artificiale».

Ma in questo scontro tra titani tecnologici, come la Meloni può essere utile a Musk? Certamente monitorando, con la sua raggiunta autorevolezza, le mosse che la Commissione europea sta mettendo in atto per evitare quello che è successo negli anni passati, quando il web venne lasciato senza regole, diventando poi un far west per pistoleri digitali. Ma che tipo di verifiche si possono prevedere? Anzitutto quelle sui grandi investimenti da parte delle aziende che gestiscono le piattaforme social: adorano un unico dio, il profitto, e su quello si deve intervenire. Nei prossimi venti anni la geografia degli Stati, così come la conosciamo oggi, probabilmente verrà soppiantata dalle multinazionali dei social che, grazie all’intelligenza artificiale generativa, potranno sostituire i vecchi schemi anche perché come dice il filosofo israeliano Yuval Harari il progresso tecnologico (dalle macchine di stampa alla bomba atomica per fare un esempio) erano frutto dell’intelligenza umana mentre AI diventa figlia degli stessi computer e può decidere, per assurdo, di uccidere spontaneamente. Riuscirà l’uomo a regolare, perché ormai non lo si può fermare, questo processo? Male che vada, Giorgia può almeno mettere una buona parola per farci portare tutti su Marte. 

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