Pensioni e fisco, benefici maggiori a chi guadagna meno: cosa c'è nella Manovra
Sarà anche un governo di centrodestra, dunque più incline a coccolare il suo elettorato di riferimento: quel ceto medio, vezzeggiato e ambito da tutti i partiti dell’arco costituzionale, ma che rimane puntualmente a bocca asciutta, ma nelle scelte di politica economica non c’è dubbio che finora a beneficiare di aiuti e sostegni sia stata quella parte di elettorato in maggiore difficoltà, che tradizionalmente ha sempre guardato a sinistra per la tutela dei propri interessi. Basta partire dal taglio del cuneo fiscale, la riduzione dei contributi previdenziali pagati dai lavoratori nella busta paga.
Inizialmente si era puntato sulla distribuzione del risparmio tra l’occupato (considerato a ragione povero) e l’imprenditore (identificato più o meno giustamente come ricco). Alla fine ha prevalso la visione di favorire il pieno recupero ai più deboli, quelli con redditi lordi fino a 25mila euro (7% di sconto ) e fino a 35mila euro (6%). A digiuno è rimasto chi supera questa soglia. Coloro che percepiscono uno stipendio netto intorno ai 1.800 euro al mese. Un buon salario, sicuramente, ma non certo assimilabile a quello di zio Paperone. Ma tant’è.
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Anche la riforma dell’Irpef, che prevede il passaggio a sole tre aliquote dalle quattro attuali, è concentrata principalmente sui redditi più bassi. Il beneficio scema al crescere dell’imponibile annuale e si azzera per chi supera i 50mila euro lordi annuali. A quel punto, infatti, scatta un taglio delle detrazioni fiscali di 260 euro che annulla il risparmio in termini di imposta.
Scelta analoga, dunque a beneficio di chi guadagna meno, anche per la rivalutazione degli assegni pensionistici. L’indicizzazione delle somme per recuperare la perdita del potere d’acquisto causato dall’inflazione è pieno, e cioè pari al 100% (da ricordare che il recupero massimo è pari al 75% del carovita dell’anno precedente) solo per le rendite di importo fino a quattro volte il minimo, viene riconosciuto invece il 90% a chi percepisce tra 4 e 5 volte il minimo, e poi c’è una riduzione progressiva che riconosce ancora meno a chi ha un assegno pesante.
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Anche in questo caso l’aiuto massimo arriva ai percettori di importi inferiori ai 2.100 euro lordi. Che si traduce in 1600 euro netti al mese. Chi è sopra vedrà dovrà accettare comunque una decurtazione in termini reali del proprio assegno. Nella stessa direzione vanno anche interventi come l’aumento delle cedolare secca sugli immobili affittati per locazioni brevi. Il governo ha concesso una tassa più bassa sui redditi ottenuti solo a chi ha un immobile destinato alla locazione per pochi giorni. Si tratta della situazione che riguarda chi non fa questo di mestiere, in genere ha ereditato la casa dei genitori, e usa questa modalità per pagare le spese di gestione e le tasse. Dunque l’agevolazione fiscale è destinata a chi affitta quasi per necessità mentre l’imposta è più elevata per coloro che di case ne hanno più di una ed esercitano di fatto un’attività imprenditoriale. Tutto si può dire della politica dell’esecutivo Meloni tranne che si non sia focalizzata sui ceti più bisognosi. Una logica che il governo ha seguito non solo nella legge di Bilancio del 2024 ma che segna da tempo la sua azione politica. Tanti gli interventi approvati finora nella direzione di supporto a chi è in condizione di debolezza: dagli aiuti per le bollette, quando i costi energetici per la guerra in Ucraina sono saliti alle stelle, alla carta acquisti destinata a sostenere i consumi di prima necessità delle famiglie con redditi esigui.