lo studio
Anche chi non ha patologie può diventare un violento: lo studio
Nei Cuav, Centri per uomini autori di violenza, «solo» l’8% degli uomini ha dipendenze patologiche e «solo» il 4% ha problemi di salute mentale. Uno su 4 va in questi centri «volontariamente» e non perché spinto da un ammonimento del questore o dopo una condanna (con la messa alla prova). Tra il 2017 e il 2022 questi centri in Italia sono raddoppiati (da 69 a 141). I dati, analizzati da LaPresse, sono stati raccolti parlando con alcuni Cam e visionando in anteprima la seconda indagine nazionale del progetto Viva, con Cnr-Irpps e il Dipartimento per le Pari Opportunità della presidenza del Consiglio, che sarà presentato in questi giorni in vista della Giornata per l’eliminazione della violenza sulle donne.
Nei centri gli uomini affrontano percorsi per provare ad allontanare i propri istinti violenti nei confronti di partner e figli, percorsi che generalmente sono di minimo 12 mesi. Secondo l’indagine del progetto Viva, nel corso del 2022, sono 4.174 gli uomini che hanno frequentato i Cuav. Sono 2.802 i nuovi ingressi. Tra questi uomini 329 hanno dipendenze patologiche (l’8% sul totale), 173 uomini sono seguiti dai servizi di salute mentale (il 4%). «Questo evidenzia che non sono dei malati, ci sono molti stereotipi rispetto a queste persone come se fossero tutte con problemi psichici dice a LaPresse la criminologa Francesca Garbarino, del CIPM Non necessariamente ci sono stati maltrattamenti precedenti subiti. Non c’è un identikit del maltrattante».
Colpisce un altro dato: 1 su 4 tra coloro che si rivolgono a questi centri, lo fa in modo spontaneo, secondo quanto si evince dai dati raccolti da LaPresse contattando i Cam di Cremona, Firenze e in Sardegna. Al Cam di Firenze al momento ci sono in carico 256 uomini maltrattanti, molti in carcere. Un centinaio frequenta il centro, di questi circa 25 sono arrivati in modo volontario. Nel Cam di Cremona su 34 persone in carico, 8 sono arrivate in modo volontario. In Sardegna gli uomini che si sono rivolti spontaneamente al Cam sono tra il 25 e il 30%.
«Si tratta di persone che chiedono aiuto perché magari c’è stato un episodio forte e si rendono conto di aver passato un limite, come uno schiaffo a una compagna o una reazione incontrollata» spiega Fernanda Werner del Cam di Cremona. Il dropout, ovvero la percentuale di coloro che abbandonano il percorso nei Centro per maltrattanti prima della fine, è intorno al 30%. Ma questi percorsi funzionano? Gli uomini violenti che li affrontano «traggono benefici. Migliorano tendenzialmente su tutte le scale, in particolare quella della violenza fisica, che va tendenzialmente a zero» spiega la psicologa Alessandra Pauncz, del Cam di Firenze.
«Il miglioramento c’è soprattutto su cose concrete, cioè "mi impedisce di uscire con le mie amiche" o "mi dice come vestirmi". I comportamenti più complicati da scardinare sono item come il controllo del denaro» aggiunge Pauncz.
«Le persone che intraprendono un percorso perché smettono di bere, giorno per giorno acquisiscono mesi e anni di sobrietà. Possiamo dire che è un pò così anche con la violenza, diamo a questi uomini strumenti per decostruire dei comportamenti» aggiunge Pauncz. «I risultati ci sono, chi riesce a finire il percorso evita in genere reiterazione di reati e gesti di violenza fisica» conferma a LaPresse anche la psicologa Werner. Viene comunque rilevato dal progetto Viva un boom di invii da parte delle questure e dell’autorità giudiziaria nei centri. L’aumento da parte dei professionisti è rilevante, sono passati dal 10% nel 2017 al 32% nel 2022, gli invii da parte dell’autorità giudiziaria sono passati dall’11% al 20%. Ma sono gli invii da parte del questore ad aver registrato l’aumento maggiore: da 0,2% al 13%. Nello specifico, il primo protocollo con le questure fu stilato dal CIPM di Milano (protocollo Zeus). Altri simili accordi, sul modello del Protocollo Zeus, sono stati sottoscritti da altre questure, per esempio, con il Cam.
Questi Cuav sono poi integrati nei territori: quelli che aderiscono a una rete territoriale antiviolenza passano dal 58% nel 2017 al 68% nel 2022, il progetto Viva. «Questo è un dato molto importante per la riuscita dei percorsi» dice il sociologo Pietro Demurtas, tra gli auori dell’indagine. Tra i dati "negativi" legati a questi centri ce ne è uno che colpisce e che riguarda i lavoratori: nella maggior parte dei Cuav si fa ampio ricorso a operatori e lavoratori volontari o precari. Nel report si parla di un 65% di personale retribuito ma solo il 15% di questo ha un contratto dipendente mentre il 51% ha altre forme contrattuali. Il 35% del personale opera in forma volontaria.