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Indi Gregory, staccato il respiratore e avviata la fine: “Condannata a morte”

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Antonio Sbraga
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Alle 16 e 52, in quella che per gli inglesi è la tradizionale ora del tè, ieri nel Derbyshire hanno staccato l’ultima spina delle macchine a cui era attaccata da mesi Indi Gregory. La vita della bambina di 8 mesi, affetta da una grave malattia mitocondriale, è ora appesa solo a una piccola maschera d’ossigeno. Flebile, anche perché ha un conto alla rovescia innestato di non più di 7 giorni di autonomia, come sottolinea il padre disperato: «È una maschera per l’ossigeno che potrà tenere per una settimana», urla Dean Gregory. Precipitato in un’attesa struggente, che sembra ormai quella dell’uomo affranto cantato da Edoardo Bennato («Una settimana, un giorno. O solamente un'ora. A volte vale una vita intera. Il tempo passa in fretta. E ti ruba quello che hai»). Non è dato sapere, infatti, per quanto tempo Indi sopravvivrà a questa procedura graduale che le fornisce un ridotto supporto di ossigeno per accompagnarla sino alla morte. «Per il momento è sopravvissuta all’estubazione e respira con la mascherina. Però il protocollo prevede che la fornitura di ossigeno sia a tempo determinato. E, purtroppo, prevede pure la sospensione delle cure e il divieto di rianimazione in caso di crisi epilettica o glicemica, considerato che la piccola soffre anche di una forma di diabete. Noi seguiamo con apprensione, confidando in una stabilizzazione del quadro clinico - spiega a sera l’avvocato Simone Pillon -. Abbiamo pronte nuove iniziative, ma a questo punto bisognerà capire quali sono i margini che ci rimangono».

 

 

Il pool dei legali della famiglia Gregory sperava, infatti, di avere più tempo a disposizione, almeno sino a domani, prima dell’interruzione dei trattamenti vitali deciso venerdì scorso dopo l’ultimo verdetto della Corte d’Appello. Invece ieri i medici inglesi hanno anticipato il «distacco della spina» inizialmente previsto per lunedì dalla Corte d’Appello insieme alla raccomandazione di ridurre al minimo le sofferenze della neonata. Da qui la decisione dell’avvio anticipato delle procedure di distacco. Nel primo pomeriggio la piccola è stata trasferita dal Queen’s Medical Centre di Nottingham e portata in ambulanza a circa 40 minuti di distanza nell’hospice per malati terminali del Derbyshire dove, prima delle 17, è stata interrotta la ventilazione, lasciandole solo la maschera dell’ossigeno. «Spero che la mia guerriera sopravviva fino a lunedì - conclude Gregory -. Sono distrutto e arrabbiato perché il Regno Unito ha condannato a morte una bambina ancora viva invece di accettare l’offerta dell’Italia di curarla senza alcun costo per il governo britannico». Ma sia l’Alta Corte inglese che quella d’Appello hanno detto no alle richieste del console italiano di Manchester, divenuto giudice tutelare di Indi dopo il conferimento alla piccola della cittadinanza italiana da parte del governo.

 

 

Corradini si era rivolto alla Corte d’appello inglese per chiedere di cedere all’Italia la giurisdizione sul caso, in base alla Convenzione dell’Aja, che dal 1996 regola la protezione dei minori. Però, secondo i giudici d’oltre Manica, i tribunali inglesi sono nella posizione migliore per valutare «l’interesse superiore» della bambina, quindi a loro avviso non è necessario un tribunale italiano. E nemmeno un ospedale italiano, nonostante il protocollo indicato per agevolare il trasferimento al Bambino Gesù, che «prevede l’applicazione di uno stent all’efflusso del ventricolo destro per la gestione della condizione cardiologica e trattamenti sperimentali» proprio per la malattia che affligge la bimba. Ormai incurabile, invece, secondo i camici bianchi inglesi. Ma «procedere alla sospensione dei sostegni vitali per la piccola Indi nonostante la possibilità dell’ospedale Bambino Gesù di assicurarle le migliori terapie palliative e nonostante il conferimento della cittadinanza italiana sono una sconfitta per l’umanità, per la medicina, per la scienza e per la civiltà occidentale», commenta il portavoce dell’associazione Pro Vita & Famiglia onlus, Jacopo Coghe, che continua a chiedere un «accordo bilaterale Italia-Regno Unito».

 

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