Toscana, per dar retta agli ambientalisti finiamo sott'acqua
Il 2023 è stato l’anno delle alluvioni, prima in Romagna e ora in Toscana, con danni ingentissimi al territorio e all’economia, oltre purtroppo a un tributo doloroso di vittime. Non voglio sottolineare che si tratta di due regioni da sempre governate dalla sinistra, perché rimarcarlo potrebbe apparire sciacallesco in frangenti così drammatici e di fronte a eventi così estremi, ma è indubbio che qualcosa non ha funzionato se sette ore di diluvio hanno provocato una serie impressionante di esondazioni che hanno riguardato fiumi, torrenti, canali e fossi. La sinistra non ha perso l’occasione per riaffermare che tutto questo rende evidente la realtà di un cambiamento climatico con cui dobbiamo fare i conti, alla faccia dei tanti negazionisti che ancora imperano. Va bene: ammettiamolo pure, questo cambiamento climatico, e usciamo dalla polemica ideologica che appassiona i social ma molto meno gli alluvionati. Chi ne è fermamente convinto e ha responsabilità di governo dovrebbe però essere conseguente, e se gli scenari climatici disegnati da alcuni scienziati ci dicono che fenomeni come quelli che si sono abbattuti sulla Romagna e sulla Toscana saranno sempre più frequenti e intensi, sarebbe stato loro dovere rafforzare la prevenzione.
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Finora, invece, si è proceduto soprattutto con i soliti provvedimenti di emergenza e con una politica commissariale che si è spesso rivelata inefficace, e a livello territoriale non si è certo fatto tutto il possibile per scongiurare alluvioni e dissesti idrogeologici. Prendiamo la Toscana: se l’Arno non è straripato a Firenze come nel ’66, lo si è dovuto alla diga di Bilancino e alle vasche di laminazione ed esondazione costruite nel Valdarno, e ovunque sono state fatte casse di espansione adeguate i danni sono stati limitati. I disastri sono avvenuti invece dove ha regnato l’incuria, dove non è stata attuata da mesi la manutenzione preventiva di tombini, scoli, alvei e argini. A questo proposito, il governatore toscano Giani è incorso in una gaffe paradossale: in evidente ansia da prestazione è infatti apparso in una diretta social, con indosso la giacca della Protezione civile, per indicare il punto in cui un torrente era stato deviato dalla piena, e ha prima correttamente detto che la causa era da ricercare nei detriti accumulati nel tempo, per poi dare però ogni colpa al cambiamento climatico.
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È stato ovviamente sommerso da critiche e lazzi, e gli è stato fatto notare che il clima sarà anche peggiorato, ma che la sua esternazione era lo specchio di una fallimentare politica del territorio che la sinistra si è fatta dettare dall’ambientalismo ideologico secondo cui l’ambiente non va «disturbato», e quindi gli alvei di fiumi e torrenti sono pieni non solo di piante e alberi, ma anche di rottami e sporcizia che fanno inevitabilmente da «tappo» quando aumenta in modo esponenziale la portata dei corsi d’acqua. Il decalogo degli ambientalisti non ammette deroghe; per loro i torrenti non sono canali di scolo per acque reflue, ma habitat naturali che non vanno gestiti come giardini o prati all’inglese, perché la vegetazione erbacea riparia che cresce negli alvei è una ricchezza naturale da preservare, e l’importante è non disturbare l’equilibrio floro-faunistico.
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Se questi sono gli effetti della rivoluzione green ed ecosostenibile, è meglio metterle pragmaticamente un argine. Del resto, i consorzi di bonifica non hanno tra i loro compiti proprio la manutenzione dei fiumi per mitigare l’impatto degli eventi atmosferici eccezionali? Le opere idrauliche servono eccome, come ci dimostrano le esperienze di Romagna e Toscana: dove si sono rafforzati gli argini e create le vasche di espansione i danni si sono ridotti moltissimo, e i vari comitati del no a tutto dovranno farsene una ragione. Poi c’è una concausa che riguarda direttamente i piani urbanistici: nelle zone di possibile esondazione non si doveva costruire e, per fare un solo esempio, a Prato e Pontedera sono finiti sott’acqua perfino gli ospedali. O la Regione ha scelto male le aree, o non sono state costruite le opere necessarie per metterli in sicurezza.