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Così l'antisemitismo è diventato il collante del blocco anti-Occidente

Pietro De Leo
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Un rigagnolo nero e velenoso è tornato ad affiorare nelle società occidentali, l’antisemitismo. L’impatto è orribilmente forte: visivo, emotivo, insiste sul piano dei rischi e della sicurezza. Le Stelle di David comparse a Parigi, così come a Milano. Le pietre d’inciampo annerite a Roma. Gli slogan favorevoli ad Hamas gridati nelle piazze. E ancora la donna di origine ebraica accoltellata in casa a Lione e la mensa kosher all’università di Cornell, negli Stati Uniti, chiusa per ragioni di sicurezza a seguito di ripetute minacce social agli studenti ebrei. Tuttavia oltre alla cronaca c’è una dimensione dell’antisemitismo parimenti inquietante, potremmo definirla politica. Sì, perché se il peggioramento della crisi israelo-palestinese, innescato dall’attacco di Hamas il 7 ottobre, ha accelerato la rotta di avvicinamento tra le potenze che costituiscono il blocco antioccidentale, l’antisemitismo ne è il collante ideologico.

 

C’è più di un segnale a dimostrarlo. Sull’odio verso gli ebrei degli ayatollah iraniani esiste un’antologia molto ricca. Ma a questo si aggiungono alcune involuzioni. Una riguarda la Turchia: dopo una titubanza iniziale a seguito dell’attacco del 7 ottobre, Erdogan ha impresso una virata decisamente filo Hamas (ha definito i militanti del gruppo terroristico dei “liberatori”) e anti israeliana. Poi c’è la Russia, con l’attacco della folla all’aereo atterrato nel Daghestan che trasportava passeggeri ebrei non certo condannato dal Cremlino. Infine la Cina: alcuni osservatori internazionali hanno individuato nei social network un aumento esponenziale di messaggi antisemiti nelle ultime settimane ed è notorio come l’attività web, anche quella dei commenti, sia sotto stretto controllo governativo e la censura sia molto capillare.

Sempre in Cina, da qualche giorno non è più possibile cercare la parola “Israele” in alcuni motori di ricerca. Ecco come si delinea un denominatore comune in questo ulteriore passo di smontaggio della globalizzazione. L’antisemitismo poi contiene un altro aspetto insidioso, ovvero è un cuneo attraverso il quale si possono allargare le divisioni nei Paesi occidentali, che fa male quando coinvolge le generazioni più giovani. C’è il tema dei social, certo, in cui l’odio verso gli ebrei alimenta il sottobosco complottista di svariato conio.

 

Lo vediamo poi nelle manifestazioni filo-palestinesi, anche in Italia. Ma lo vediamo, soprattutto, nelle università americane, dove molte associazioni studentesche si sono schierate con Hamas. Parliamo della Ivy League, ovvero quel gruppo di Atenei di primissimo livello che forgia la classe dirigente di domani. Se alcuni tra i futuri senatori, componenti del governo, avvocati, intellettuali, docenti universitari, scienziati crescono con il germe di questo contro-valore, abbiamo qualcosa di cui preoccuparci. L’Occidente libero e democratico ha maturato il proprio senso della libertà anche con la piena consapevolezza di quanto non ripetere le tragedie del ‘900, neanche nelle forme più embrionali, fosse un imperativo storico, politico e sociale prima ancora che morale. Questo sentimento, nella fase attuale, mostra le sue crepe. Chi, anche inconsapevolmente, le allarga, fa un grande favore alle “società della paura”, che vorrebbero la distruzione del “nostro” mondo, quello dei diritti, della libertà, della democrazia.

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