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Allarme attentati, informativa degli 007: il pericolo Jihad arriva dai Balcani

Francesca Musacchio
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Potenziale «incubatore» della minaccia terroristica verso l’Europa. È l’intelligence italiana, che non più tardi di due anni fa, ha lanciato l’allarme sul pericolo rappresentato dai Balcani e dalla rotta migratoria che attraversa quell’area e arriva in Europa. Una zona destinataria di attenzione da parte dell’attività informativa dei servizi segreti proprio per il rischio di infiltrazioni.

 

Una galassia jihadista che, durante la guerra in Siria, ha prodotto oltre 1.000 combattenti partiti per arruolarsi tra le fila dello Stato islamico. Di questi, circa il 45% sono rientrati e ancora oggi rappresentano motivo di preoccupazione per la diffusione del radicalismo religioso e non solo. Ed è proprio sul profilo di questi foreing fighters che si è focalizzata l’attività dell’intelligence secondo cui «rappresentano possibili vettori di rischio per la sicurezza europea e nazionale, specie in ragione dell’expertise militare acquisita e dei legami, talora forti, stabiliti con la diaspora in Europa». Ma non solo. Nel 2015, proprio nei Balcani, furono individuate, secondo quanto riportava Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) «almeno 20 le cellule terroristiche attive nel reclutamento e addestramento di foreign fighters tra Kosovo, Bosnia, Albania, Macedonia, Serbia e Montenegro. Un pulviscolo di gruppi prevalentemente di matrice salafita e wahhabita, tra cui spiccano le organizzazioni attive in Kosovo, Albania e Bosnia». Attualmente, stando ad alcune analisi delle intelligence europee, questo numero sarebbe rimasto invariato. Nonostante in Siria e Iraq la componente Isis sia stata ridimensionata e oggi rappresenta una realtà residuale, la radicalizzazione nei Balcani continuerebbe a resistere.

 

Del resto, per gli 007 italiani, «i tratti salienti del jihadismo nei Balcani sono determinati da network transnazionali e interetnici, spesso con connessioni europee, tra cui si segnala quello dei cosiddetti "Leoni dei Balcani". Il network in questione rappresenta un elemento della strategia di Daesh (Isis) volto al tentativo di rafforzare articolazioni periferiche per il rilancio di attività offensive».

Il pericolo che questi elementi possano infiltrasi in Europa attraverso il flusso dei migranti, oppure agevolare l’ingresso di soggetti a rischio, potrebbe essere concreto. Solo nel 2022 la rotta balcanica è stata attraversata da circa 145.600 persone. Mentre nel primi 8 mesi del 2023, secondo Frontex, sono stati rilevato 52.200 migranti irregolari. Il rischio terrorismo nei Balcani, dunque, si mescola con i flussi migratori che su quella rotta spingono per arrivare in Europa, partendo dalla Turchia e dalla Grecia, e arrivando proprio al confine italo-sloveno. Si tratta principalmente di pakistani, bangladesi, afghani, indiani e nepalesi, ma non mancano nordafricani. «Tale eterogeneità - spiega l’intelligence - corrisponde a una realtà criminale altrettanto varia, composta prevalentemente da micro-gruppi e singoli facilitatori con un basso profilo organizzativo, che semplificano il trasferimento dei migranti in relazione a singole tratte circoscritte. Le caratteristiche "morfologiche" della rotta, completamente terrestre, consente ai migranti irregolari di percorrerla talvolta anche in autonomia e con costi più contenuti, senza dover necessariamente rivolgersi ai trafficanti. In Serbia, che insieme alla Bosnia-Erzegovina è il principale punto di snodo di tale direttrice, la presenza di trafficanti originari dei Paesi dei migranti non solo favorisce il flusso migratorio, ma crea una economia informale, spesso fonte di sussistenza per gli strati meno abbienti della popolazione locale».

L’Europa, in questi anni, ha cercato di gestire il flusso migratorio proveniente dal Balcani con una serie di attività. Oltre all’accordo con la Turchia del 2016, «tra il 2021 e il 2022 l’Ue ha sostenuto azioni connesse alla migrazione nella regione nell’ambito dell’IPA III per un valore totale di 201,7 milioni di euro, tra cui programmi volti a rafforzare la capacità di gestire la migrazione nella regione e la capacità di gestione delle frontiere». Ma tutto questo non ha ridotto il flusso che quotidianamente preme sulla frontiera italo-slovena lasciando invariato il rischio connesso al terrorismo "indigeno" che, soprattutto tra Kosovo e Bosnia Erzegovina, ha fornito all’Isis il maggior numero di combattenti stranieri. Una parte di questi sono rientrati in patria dopo la dissoluzione dello Stato islamico e portano avanti la jihad. 

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